Sono saliti sui tetti e si sono chiamati “indisponibili”, ma la crociata dei ricercatori stavolta punta direttamente al Tar. Nel mirino i ministri Tremonti e Gelmini, ovvero il blocco degli scatti di anzianità per i docenti universitari. Ne ha dato notizia nei giorni scorsi il Secolo XIX: il sasso infatti lo ha lanciato, proprio da Genova, una ricercatrice dell’ateneo ligure che annuncia ai colleghi in una mail l’intenzione di fare “ricorso al Tar contro la disposizione della legge Tremonti che comporta il congelamento degli scatti ai docenti universitari per tre anni senza recupero successivo”. Invitandoli a partecipare.
La norma risale alla scorsa estate e si abbatte come una scure, anzi come un mutuo trentennale, sulla progressione di carriera di tantissimi ricercatori. Il blocco degli scatti di carriera automatici per il triennio che va dal 2011 al 2013 riguarda diverse categorie, ma il trattamento peggiore lo riserva proprio ai docenti universitari che non solo avranno lo stesso stipendio per tre anni, ma al termine del blocco non recupereranno gli scatti perduti, ripartendo dalla classe che avevano nel 2010. La progressione di carriera riprenderà in sostanza come se gli ultimi 3 anni non fossero mai esistiti.
La ricercatrice genovese ha lanciato dunque l’appello ai suoi colleghi per una “causa comune” che permetta di contenere le spese legali e i ricercatori liguri interessati hanno già contattato un avvocato romano che assiste in cause analoghe ricercatori di altre università. Motivo del contendere l’iniquità della misura che investe in modo più severo alcune categorie accademiche piuttosto che altre. Se la batosta può risultare infatti limitata per un ordinario a fine carriera, lo è meno per un ricercatore non confermato, il gradino più basso della carriera accademica.
Chi arriva a questa soglia normalmente è reduce da un lungo percorso di precarietà, ha una età media tra i 35 e i 40 anni e il primo anno guadagna 1.200 euro. Sono loro i più penalizzati dal blocco, dal momento che non solo rimarranno per altri tre anni ancorati allo stipendio “base”, ma dal 2014 riprenderanno gli scatti da zero con conseguenze che si trascinano per l’intera carriera, al termine della quale avranno perso diverse centinaia di migliaia di euro. E dunque versato meno contributi, con conseguenze anche sulla pensione. Più volte dal governo sono arrivate rassicurazioni su una revisione del provvedimento che vada a graziare le fasce più colpite, ma nessuna modifica è stata ad oggi approvata. A decidere ora potrebbe essere il giudice amministrativo.