Le lauree umanistiche sono inutili? I dati reali sfatano il luogo comune
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Le lauree umanistiche non sono inutili. I dati smentiscono il luogo comune

da | Feb 2018 | News | 0 commenti

Sembra una verità incontrovertibile: le lauree umanistiche sono inutili. Di conseguenza si cerca sempre più di dissuadere i giovani dall’iscriversi a corsi come Lettere o Filosofia, indirizzandoli verso altri studi di più sicure prospettive occupazionali. Ma, a ben guardare i dati, si scopre che quella che appare come una certezza è, in verità, nient’altro che un luogo comune. Per di più infondato. Perché, sì, contrariamente a quanto ci si attenderebbe, chi ha conseguito una laurea umanistica il lavoro lo trova. E l’avanzamento tecnologico più che un handicap potrebbe rivelarsi un’opportunità.

Un report americano sfata il mito dell’inutilità delle lauree umanistiche

Che le lauree umanistiche siano inutili è un’idea che circola non solo in Italia. Anche all’estero la tendenza è quella di considerare i laureati in queste discipline poco appetibili per il mercato del lavoro e destinati, nel migliore dei casi, alla sottoccupazione. L’ultimo rapporto dell’American Academy of Arts and Sciences, tuttavia, indica che i livelli occupazionali e le entrate dei laureati in discipline umanistiche sono perfettamente in linea con quelli di quanti hanno frequentato altri corsi di studio.

Nel dettaglio, tali laureati si collocano esattamente al centro della curva di distribuzione per quanto riguarda il reddito medio annuo. Certo, non guadagnano gli 82mila dollari all’anno dei laureati in Ingegneria, ma dopo aver conseguito il bachelor’s degree (la laurea triennale), in media ne percepiscono 52mila. Che salgono a 72mila tra coloro che hanno completato anche un master’s degree (equivalente alla laurea magistrale). Si tratta di cifre ben al di sopra del tetto che garantisce la stabilità economica.

A sorpresa, poi, quanti hanno conseguito lauree umanistiche dichiarano un tasso di soddisfazione finanziaria che supera quello dei laureati in discipline dell’ambito del Business, nonostante normalmente questi siano considerati laureati più “forti” sul piano professionale.

Per quanto riguarda l’Italia, le statistiche del consorzio AlmaLaurea confermano il report americano. Se è vero che da noi i laureati in discipline umanistiche guadagnano comunque meno di quelli in Ingegneria e di quelli del gruppo economico-statistico, è altrettanto vero che il loro tasso di soddisfazione è lo stesso (7,5/10).

Il progresso non è una minaccia ma un’opportunità

In un mondo che cambia sempre più velocemente per via dell’avanzamento tecnologico, si potrebbe pensare che le lauree umanistiche siano penalizzate. Invece, è esattamente il contrario. In primis, perché chi si è iscritto a Lettere o a Storia ha sempre saputo che avrebbe dovuto reinventarsi per rendere le proprie competenze utili nel mondo del lavoro. Ciò garantisce ai laureati di quest’ambito una duttilità e una versatilità sconosciute a coloro che hanno conseguito lauree più professionalizzanti.

Questa caratteristica si rivela particolarmente utile in un mondo i cui scenari sono in continuo e rapidissimo mutamento. E le aziende dei settori digitale e tecnologico se ne stanno sempre più accorgendo. Tanto che, sempre secondo il report americano citato, l’11 per cento di chi ha in tasca lauree umanistiche fa carriera nel management e una buona fetta si riconverte nel settore ICT. Le lauree umanistiche, poi, sono sempre più apprezzate nella Silicon Valley. Basti pensare alla CEO di Youtube, Susan Wojcicki, laureata ad Harvard in Storia e letteratura.

Grandi opportunità potrebbero nascere con la sempre maggiore diffusione dell’automazione. Le competenze in Linguistica e Semiotica, ad esempio, sono imprescindibili per il machine learning. Tanto quanto quelle in Etica e Filosofia morale sono cruciali per gli automation ethicists, specialisti nella valutazione dell’impatto economico e sociale dei robot.

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