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Editoriale. Diritto allo studio, come cambia l’università

da | Mar 2010 | News | 0 commenti

editoriale diritto allo studio


L’università è diventata un lusso per pochi? Lo avevamo chiesto ai nostri lettori attraverso un sondaggio aperto il mese scorso a seguito del dibattito pubblico sul diritto allo studio, argomento tornato alla ribalta con le preoccupazioni espresse non solo da studenti e ricercatori italiani, ma anche da organi di stampa e ministri.
A rispondere di, è stato quasi il 60 per cento degli utenti che hanno partecipato al nostro sondaggio. Per questi, l’università sta diventando un lusso perché costa troppo e dà in cambio poco.

Per il 50 per cento degli utenti che hanno risposto al sondaggio, infatti, l’università richiede troppe spese in tasse, libri, affitti e trasporti. Per l’8,5 per cento, invece, le borse di studio sono insufficienti. Quello che emerge è quindi l’assenza di una politica trasversale che metta davvero a servizio di tutti l’istruzione.
D’altra parte una buona fetta di lettori, il 31 per cento, ci tiene a sottolineare come in realtà l’università di oggi sia accessibile a chiunque, soprattutto se la si confronta con il sistema di alta formazione di cinquant’anni fa, quando a laurearsi erano solo ed esclusivamente i giovani di estrazione sociale medio-alta.
C’è poi un 10,4 per cento che ricorda come il problema dell’accesso sia in parte risolvibile conciliando studio e lavoro. Per dire, insomma, che non sempre la laurea la pagano tutta mamma e papà.
Certo, l’innalzamento delle spese per gli studenti non è un’invenzione. È di fine 2009 la classifica stilata dal Sole24Ore sulle tasse fuori controllo nelle università italiane, fenomeno inevitabile a seguito degli ingenti tagli che gli atenei stanno subendo con le recenti politiche finanziarie di governo. In altre parole, quello che gli atenei stanno cercando di fare è recuperare la perdita dei finanziamenti ministeriali alzando le contribuzioni degli studenti.
Questo, affiancato a un mercato degli affitti che sicuramente non facilita la mobilità studentesca, né l’indipendenza dei ragazzi dalle famiglie, alimenta un quadro critico che in un certo senso mette in crisi il concetto tradizionale di diritto allo studio inteso come “istruzione gratuita”. Un cambiamento che ha portato nel giro degli ultimi anni all’aumento dei fuori corso e al complessivo calo delle immatricolazioni, come emerge anche dall’ultimo rapporto annuale sullo stato del sistema universitario.
D’altro canto non si può neanche sostenere, com’è stato fatto, che l’università di massa non esiste più. Le università pubbliche oggi più che mai sono aperte a studenti di tutte le età e provenienti da famiglie di ogni tipo. La questione è piuttosto quella di guardare al cambiamento con occhi nuovi, cerando di capire dove si sono spostate le asimmetrie sociali nel sistema dell’istruzione.
Nonostante l’università sia ancora di massa, infatti, le differenze ci sono eccome. Prima fra tutte quella tra chi ha alle spalle una famiglia in grado di pagare un intero corso di studi completo di specializzazione e master, e chi invece per intraprendere la carriera universitaria ha bisogno di studiare e lavorare insieme. A vacillare non è tanto, quindi, l’accesso in senso stretto, ma piuttosto il modo in cui ad ogni studente è concesso di vivere l’università.

Claudia Bruno

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