In Italia gli archeologi impegnati presso il settore pubblico dei Beni culturali sono solo 350, la loro età media non va sotto i 55 anni e la maggior parte di loro è stata assunta nei concorsi a fine anni 70. In questo contesto delineato dai dati dell’Associazione Nazionale Archeologi emerge una professione che soprattutto dal punto di vista “privato” fa molta fatica a decollare.
Proprio per discutere di problematiche, opportunità e proposte si svolge oggi il primo open day di archeologia di Roma, articolato in due momenti dedicati alla formazione universitaria e alle opportunità di lavoro.
Oltre ad avere l’occasione di incontrare le ditte che operano nel settore dell’archeologia sul campo, gli studenti potranno conoscere meglio il loro futuro professionale durante la tavola rotonda “L’Università per la professione di archeologo” che illustrerà come la formazione universitaria può servire alla professione degli archeologi sul campo.
Secondo il censimento di Ana, sono ben pochi i professionisti del settore che sono impiegati presso le soprintendenze dei Beni Culturali o altri soggetti pubblici, un dato perfettamente in linea con il blocco dei concorsi e i tagli delle risorse, che sono passare dai due miliardi del 2003 al miliardo e 400 mila euro dello scorso anno.
La barriera all’ingresso della tipologia di lavoro che sarebbe la più naturale per un archeologo, ha dunque condotto i giovani a ricercare altre opportunità fuori dalla ricerca pubblica. Ben il 26% dei lavoratori nel settore è infatti impiegato con contratti occasionali presso cooperative o soggetti giuridici misti, mentre il 24% ha spuntato un contratto a progetto. Tra le classifica, poco sotto ci sono poi i lavoratori a partita Iva (18%), veri e propri piccoli imprenditori che arrivano a fondare ditte specializzate negli scavi.