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Violazioni della libertà accademica in Asia, in Iran e Cina più discriminazioni

da | Ott 2011 | News | 0 commenti

In Asia si sono verificati recentemente diversi episodi di violazioni della libertà di pensiero e di opinione in ambito accademico. A segnalarlo è il Near, Network per l’educazione e i diritti accademici, una organizzazione non governativa che lavora per proteggere e promuovere la libertà ed i diritti nel mondo accademico creata dall’Unesco nel 2001. Quello asiatico, segnala il network, resta il continente dove si verifica il maggior numero di violazioni.

A guidare la classifica dei diritti negati di docenti e studenti è l’Iran. Il Near racconta il caso di uno studente dell’Università del Texas, Omid Kokabee, che è stato arrestato al suo ritorno in patria per far visita alla famiglia. Kokabee è accusato di spionaggio e di divulgazione di informazioni scientifiche riservate al di fuori dell’Iran e rischia fino a 10 anni di carcere.

Lo studente ha ricevuto il sostegno dei colleghi e di gruppi scientifici che hanno indirizzato lettere aperte all’Ayatollah Ali Khamenei, chiedendo clemenza per il giovane. Ora gli altri studenti iraniani che vivono negli Stati Uniti hanno paura di ritornare in patria a far visita ai propri familiari per il rischio di subire un trattamento simile.

Situazione difficile anche in Siria Ous Abdel Karim Khalil, un professore di fisica nucleare, è stato assassinato davanti alla sua abitazione nella città di Homs, colpita dalla repressione del regime contro i manifestanti impegnati nella lotta per una maggiore apertura del Paese. Secondo il locale osservatorio per i diritti umani, l’obiettivo del governo con l’uccisione dello scienziato era far aumentare la tensione tra le comunità religiose.

La Cina si piazza al secondo posto della classifica del Near per numero di violazioni. Qui, nella regione dello Xinjiang, si segnalano due casi recenti di discriminazione ai danni di professori della locale comunità musulmana Uiguri. L’economista Ilham Tohti ha visto cancellare il proprio corso di insegnamento col falso pretesto che non raggiungesse il numero minimo di 25 studenti iscritti. Il professore era già sotto il controllo della polizia locale ed aveva subito restrizioni alla propria libertà personale poiché nelle sue lezioni denuncia le discriminazioni economiche e religiose subite dalla comunità Uiguri.

Sempre nello Xinjiang, nella sua capitale Urumqi, venti professori di origine Uiguri sono stati licenziati: la spiegazione ufficiale è che non parlavano fluentemente in Cinese. A loro in cambio del silenzio è stato offerto un lavoro nella sicurezza dell’istituto dove insegnavano, ma hanno rifiutato l’offerta sostenendo di essere troppo qualificati per tali mansioni. Essi lottano contro l’abbandono della politica di istruzione bilingue nello Xinjiang e per la conservazione della cultura Uiguri, sostenendo inoltre che l’apprendimento in lingua cinese per gli studenti locali risulta molto più difficoltoso oltre che inefficace.

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