Erasmus a Strasburgo, intervista ad Ambra studentessa di biologia
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Erasmus a Strasburgo. L’esperienza di Ambra, studentessa a Tor Vergata

da | Ago 2010 | News | 0 commenti

Studiare in Francia è senz’altro un’esperienza importante per ogni giovane che voglia imparare la lingua francese e confrontarsi con un’altra cultura della ricerca e dell’università. Tuttavia, se a freddo viene in mente subito Parigi, la Francia non è solo la sua capitale. Ci sono altre città che offrono molto ai giovani studenti provenienti da tutto il mondo. Una di queste è Strasburgo. Qui Ambra, 23 anni, da poco laureata in Biologia Umana all’Università di Tor Vergata (Roma), ha trascorso 10 mesi per il suo Erasmus nell’anno accademico 2008-2009. In un’intervista ci racconta proprio del suo Erasmus a Strasburgo.
Cominciamo con un bilancio. Erasmus, vale la pena? Perché?
Assolutamente. Perché è un’esperienza che cambia la tua visione del mondo. Conosci gente da ogni paese e scopri ben presto che puoi chiacchierare con tutti. Tra gli studenti erasmus è famoso il fenomeno di “imparare meglio la lingua degli amici con cui convivi che quella del paese in cui sei”. Inoltre puoi confrontarti con diversi stili di vita, prospettive di lavoro all’estero e per me è stata anche la prima esperienza di “vita da sola”.
Quando hai deciso di partire e con quali aspettative?
Già con le amiche del liceo si parlava delle nostre future vite all’estero, mi sono iscritta all’università sognando un lavoro che mi permettesse di viaggiare o comunque stare in contatto con il mondo. Il secondo anno di università ho cominciato ad informarmi sui programmi di studio all’estero.
Poi com’è andata, è stato difficile accedere al programma? C’è bisogno di molti passaggi burocratici?
Il bando della borsa di studio esce sul sito della facoltà ed è molto chiaro. Passaggi burocratici ce ne sono, ma si fa quasi tutto via mail. Il problema è che bisogna comunicare in inglese o nella lingua madre del paese…ma è un buon modo per cominciare a rispolverare le lingue prima della partenza.
Come mai hai scelto proprio Strasburgo? Per quanto tempo sei rimasta lì?
Ogni università ha un responsabile Erasmus ed io ho avuto modo di conoscere il responsabile di Strasburgo durante una giornata orientativa. Il suo entusiasmo e la sua descrizione dell’Université de Strasbourg mi ha colpito e così ho scelto la mia meta. La scelta viene fatta in base ad una graduatoria, ma sono riuscita comunque ad ottenere la mia borsa da 10 mesi!
Com’è la giornata di uno studente Erasmus a Strasburgo, com’era scandita la tua?
Le lezioni cominciavano alle 8. Io vivevo in una residenza in centro e mi muovevo in bicicletta, nonostante la neve! Pranzo a mensa, laboratori pomeridiani e poi spesa, banca e organizzazione di cena e dopo cena…ovviamente sempre in compagnia dei colleghi, perché gestire spesa e preparazione pasti in tanti è più facile. La vita di uno studente francese ruota molto intorno all’università. Ci sono supermercati universitari, ristoranti universitari, molte attività sono gestite da studenti e a misura di studente.
Riuscivi a seguire le lezioni con tranquillità? E a dare gli esami?
Il primo semestre mi sono limitata a cercare di copiare qualche appunto dalle slides proiettate a lezione e a farmi conoscere da professori e colleghi chiedendo libri e appunti. Poi correvo in biblioteca armata di vocabolario. Ma in seguito è diventato tutto più facile: in 10 mesi ho dato tutti e 7 gli esami del mio programma di studi. 5 solo nel secondo semestre.
Quali sono stati secondo te i pregi principali di questa esperienza fuori dall’Italia?
Nuove prospettive di lavoro, nuovi amici sparsi nel mondo – dopo un anno di vita insieme si rimane in contatto -, una lingua in più sul tuo curriculum e acquisire la consapevolezza che sai cavartela lontano da casa.
Qualcosa che invece cambieresti o che ti ha creato difficoltà?
Il freddo. Strasburgo è molto a Nord e neve, giornate cortissime e temperature sotto i -15° dopo un po’ abbattono l’umore. L’inverno è stato lungo. Consiglio di metterlo in conto, soprattutto per chi sceglie mete del Nord-Europa.
Al rientro in Italia molti studenti che hanno fatto l’Erasmus raccontano di salti mortali per farsi approvare gli esami sostenuti all’estero. È stato così anche per te?
Assolutamente no. Io avevo concordato tutti gli esami da sostenere prima di partire. Quando sono tornata è bastato dare la lista firmata dall’Università-ospite alla responsabile italiana e tutti gli esami mi sono stati verbalizzati in segreteria. L’importante è non dare esami che non sono stati prima concordati, ogni esame deve avere un corrispettivo nel programma di studi italiano.
A conti fatti, l’Erasmus ha rallentato il tuo percorso di studi o no?
Si, un po’. Io avevo 13 esami da dare al terzo anno, l’anno in cui sono partita, e in Erasmus ne avevo concordati 7. Ma ne ero consapevole e avevo messo in conto che la sessione estiva al mio ritorno sarebbe stata un “tour-de-force”! Alla fine mi sono laureata alla triennale con un semestre di ritardo…ma ne è valsa la pena.
Che sensazione si prova a tornare nell’Università italiana dopo mesi fuori?
Purtroppo non è una bella sensazione. Dopo mense gratuite, musei gratis, laboratori futuristici e attività giornaliere organizzate dalla facoltà, tornare all’università italiana è un passo indietro. Ma devo spezzare una lancia a favore della nostra istruzione: noi studiamo di più. All’estero si punta molto alla pratica o a esami molto specifici, si studia molto su dispense fornite dai professori. In Italia si studia tantissima teoria sui libroni. È più noioso, ma dà una formazione completa.
Che seguito ha avuto la tua esperienza Erasmus una volta tornata in facoltà?
Beh, prima di tutto è stata riconosciuta nel voto di laurea con dei punti aggiuntivi, sono punti che variano a seconda della facoltà. Poi, ovviamente, l’aver vissuto un anno all’estero permette di scrivere qualcosa in più nella parte ‘conoscenza delle lingue’ del tuo curriculum. Inoltre uno studente eramsus rimane tale anche dopo essere tornato a casa. Quindi si ha la possibilità di essere costantemente coinvolti nelle attività degli studenti stranieri nella propria facoltà come l’accoglienza, l’organizzazione delle feste, ecc. Io ho partecipato ad un concorso letterario organizzato dal mio ateneo, quando sono tornata: bisognava presentare un racconto sulla propria esperienza e il premio consisteva in un viaggio. La premiazione è avvenuta alla fine di una giornata di giochi con gli studenti cinesi a Roma. Indimenticabili le partite di badminton tra ragazzi cinesi e professori di filosofia in camicia e cravatta disputati nell’atrio della facoltà di lettere. Io non ho vinto, ma è stata una bella esperienza.
(Foto Flickr di Francois Schnell)
Intervista a cura di Claudia Bruno

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