Facendo slittare a dopo il 14 dicembre il voto finale sul ddl l’opposizione penalizza l’università per “motivi di pura propaganda politica”. Preso atto della decisione della conferenza dei capigruppo di rinviare la discussione in Senato, il ministro dell’Istruzione Gelmini attacca il centrosinistra ma si dice “comunque fiduciosa” perché è certa che il governo resterà in carica e subito dopo il voto di fiducia si potrà approvare anche la sua riforma. Su proposta del presidente del Senato Renato Schifani, la prossima conferenza dei capigruppo per calendarizzare l’esame del ddl è prevista proprio il 14 dicembre.
Diverso il punto di vista del finiano Fabio Granata, che accoglie lo slittamento come “una buona notizia”. Il deputato di Futuro e libertà evoca l’esigenza di “serenità e stabilità politica” per migliorare il disegno di legge anche ascoltando le ragioni di chi in questi giorni continua a manifestare contro i contenuti del provvedimento. La posizione di Fli sulla riforma è stata per certi versi critica anche nel corso dell’iter alla Camera, con l’approvazione di diversi emendamenti congiuntamente alle opposizioni e nonostante il parere contrario del governo.
Nelle file della minoranza c’è soddisfazione per aver bloccato “una riforma sbagliata e senza copertura prima del voto di fiducia”, come spiega il capogruppo di Italia dei valori al Senato Felice Belisario, che ribadisce il giudizio negativo del suo partito: “Il ministro Gelmini si ostina a parlare di riforma epocale, ma questo ddl in realtà distrugge l’università pubblica, il diritto allo studio, la ricerca e le prospettive dei giovani”.
Sottolineano invece come lo slittamento sia frutto delle mobilitazioni di piazza sia i Giovani democratici sia gli studenti dell’Udu. “Dal 28 ottobre 2009 abbiamo occupato le facoltà, presidiato i tetti, riempito le piazze e le strade fino a bloccare il paese” afferma in una nota l’Unione degli universitari, che chiede le dimissioni del ministro e annuncia che la mobilitazione continua fino al ritiro del disegno di legge.
Preoccupati i toni di Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun), che evoca il rischio di un” far west” conseguente allo slittamento del voto, soprattutto se il governo non dovesse ricevere la fiducia in Parlamento. “Rimarrà bloccato il reclutamento di professori e ricercatori” spiega il presidente del Cun, ricordando anche che l’ultimo intervento legislativo organico in materia risale a trent’anni fa. Il timore è che il funzionamento stesso delle università si blocchi per mancanza delle regole, e “per quanto il Cun abbia espresso le proprie critiche al testo della riforma”, conclude Lenzi, è meglio avere regole cattive che non averne affatto.
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