Che negli atenei italiani ci siano tanti studenti provenienti dalla Cina non è una novità. Tanto più se si considera che in pochi anni gli universitari della Repubblica popolare sono quadruplicati. Ma ora
le autorità di Pechino modificano la loro strategia: non più solo studenti da esportare nei Paesi occidentali ma nuovi iscritti provenienti proprio dalle grandi potenze del mondo.
La Chinese Government Scholarship, ente governativo che stabilisce le politiche per l’istruzione e finanzia la formazione, ha inviato una nuova direttiva agli atenei nazionali: bisogna rendere appetibile l’offerta formativa cinese anche per gli studenti statunitensi e in particolare per quelli provenienti dal Vecchio continente, utilizzando a favore della Repubblica popolare la formazione di base degli studenti giunti da queste aree.
Campus, laboratori e centri di ricerca attrezzatissimi non mancano: negli ultimi anni sono state investite cifre ingenti per garantire strutture all’avanguardia al Paese, dove un’associazione ha censito di recente i numerosi ex studenti milionari. Ora, per rafforzare la leadership cinese nel campo dell’innovazione tecnologica non è più sufficiente mandare i propri giovani a studiare all’estero a spese di Pechino, bisogna attrarre cervelli da altri Paesi.
Per quanto riguarda l’Italia, a Torino sono tre gli atenei cinesi sbarcati in cerca di studenti e ricercatori. Al Politecnico della città sabauda, dove è ormai consolidata l’accoglienza di un migliaio di studenti l’anno, partiranno a breve le selezioni per borse di studio gratuite di due e tre anni destinate a studenti e dottori di ricerca. I vincitori partiranno a settembre alla volta degli atenei “tecnologici” di Tsinghua, Beihang e Harbin It. “Hanno bisogno di far crescere la propria formazione interna, anche attirando cervelli dal resto del mondo” spiega il rettore del Polito Francesco Profumo.
E a chi ritiene che favorire la partenza di cervelli italiani verso l’estero sia un errore, il rettore Profumo replica sottolineando come, nel mondo, l’atteggiamento nei confronti della Cina stia subendo una trasformazione: “I Paesi più lungimiranti cominciano a pensare che una nazione che affronta investimenti così massicci è un’immensa opportunità, non un gigante di cui aver paura”.