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Editoriale. Inizio anno accademico: data da definirsi

da | Set 2010 | News | 1 commento

La protesta dei ricercatori che aderiscono al blocco della didattica, per mostrare la loro contrarietà alla riforma Gelmini approvata al Senato a luglio e alle politiche di sottofinanziamento degli atenei, sta mettendo i rettori con le spalle al muro. L’Università italiana è al bivio. Se i rettori decideranno di fare iniziare comunque l’anno accademico vorrà dire che dovranno sostituire i ricercatori indisponibili con docenti esterni a contratto, sottraendo quindi del tutto l’efficacia allo sciopero bianco dei ricercatori che si stanno battendo per una università e una ricerca pubbliche, aperte e libere. L’alternativa sarà quella del rinvio dell’inizio anno accademico 2010-2011 a data da definirsi.
Dopo la polemica scoppiata sull’ultimatum che il rettore di Bologna aveva deciso di dare ai ricercatori del suo ateneo (poi ritirato), per sostituirli con docenti a contratto, le facoltà che stanno decidendo proprio in questi giorni di rimandare l’inizio dell’anno accademico aumentano a vista d’occhio con il passare delle ore.
I corsi partiranno con ritardi che vanno da una settimana a un mese. Succede così a Perugia (Scienze Matematiche), Palermo, Università di Bari Aldo Moro, alla Sapienza di Roma (Ingegneria, Fisica), Tor Vergata (Scienze), Padova (Scienze), L’Aquila (Ingegneria), Ferrara, Pisa, e poi a Catania, Bologna e Milano dove l’apertura dell’anno accademico diventa ogni giorno più complicata con percentuali consistenti di ricercatori indisponibili a svolgere le attività didattiche non obbligatorie per legge.
Sulla questione, il mondo delle associazioni studentesche si spacca in due, e anche stavolta “salvare l’università e la ricerca” assume le sembianze del solito diverbio destra-sinistra. Da una parte gli studenti del Coordinamento nazionale Link, che si sono dichiarati solidali alla protesta dei ricercatori in nome della valorizzazione del loro ruolo e della natura pubblica e libera dell’università italiana, e che scenderanno in piazza nella prima settimana d’ottobre aderendo alla mobilitazione autunnale contro riforma e tagli. Dall’altra gli studenti di Azione Universitaria con lo slogan “Le lezioni sono un diritto, bloccarle è un delitto” appena lanciato “contro chi vuole difendere la poltrona sulla pelle degli studenti e dei ricercatori”.
Certo è che l’indisponibilità di oltre 10mila ricercatori in tutta Italia qualche effetto concreto lo sta avendo. Intanto, mentre tutti guardano il dito che indica la luna, agli osservatori più attenti non sfugge che il movimento emergente dei ricercatori non è che la punta di un iceberg sotterrato per decenni. Una mole di lezioni e corsi che per il 40 per cento si regge sul volontariato, un sistema di reclutamento ancora simile al vassallaggio feudale, una università che fa fatica a riconoscere e valorizzare i propri talenti e che a breve rischia di essere svenduta al miglior offerente. Adesso però, questa stessa università, davanti alle matricole la faccia non vuole proprio perderla.

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Ale
Ale
13 anni fa

Non è giusto scaricare sugli studenti. Sempre con i più deboli, che vedono calpestati i loro diritti e non hanno nessuna colpa, ci si scarica?
Io ho l’ impressione che quelli che dovrebbero essere i protagonisti delle Università, gli studenti, non vengano rispettati e tutelati per niente.
Allora anche io studente voglio di diritto diventare ricercatore e professore universitario, lo voglio di diritto altrimenti protesto.
Poi spesso si dice che si spende poco per formazione dei giovani, secondo me spendere per la formazione dei giovani dovrebbe significare dare direttamente agli studenti un buono mensile per comprare computer,internet,corsi multimediali di lingua straniera, libri, riviste di studio, fare anche viaggi studio, tutto questo, cioè dare direttamente agli studenti i soldi per far fronte alle spese che stanno diventando sempre più insostenibili per le famiglie. Se si danno soldi alle Università e lo studente non può supportare le spese allo studio, lo studente non si iscriverà all’ Università e quindi non si investirà sul futuro dei giovani e sulla crescita culturale del paese, ma sulla crescita economica dei beneficiari privilegiati.
Comunque secondo me il massimo sarebbe dare i soldi direttamente agli studenti e dirgli: “tieni vai ed iscriviti all’ Università che secondo te ti merita”.