A Palazzo Madama partono i lavori per arrivare all’approvazione definitiva del testo passato in seconda lettura alla Camera il 30 novembre. Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini si dice certa che la riforma sarà varata prima del voto di fiducia al quale è legata la sopravvivenza dell’attuale esecutivo, il 14 dicembre.
Intanto continua in tutta Italia la mobilitazione negli atenei: circa venti sigle del mondo dell’università hanno lanciato un appello ai senatori affinché non approvino il disegno di legge. Docenti, studenti e ricercatori in agitazione hanno annunciato un presidio di protesta davanti al Senato durante l’iter di di discussione in Aula della riforma, invitando tutte le componenti del mondo accademico a occupare simbolicamente i rettorati in concomitanza con l’avvio della discussione in commissione.
Dal canto suo il ministero dell’Istruzione fa sapere che non approvare “entro il 13 dicembre” la nuova normativa sarebbe un grave danno per il sistema universitario. Innanzitutto, spiega lo staff di Gelmini, il fondo per assumere 1.500 docenti l’anno tra il 2011 e il 2013 sarebbe inutilizzabile, perché con la legislazione attuale non si possono bandire concorsi né per ordinari né per associati.
Discorso analogo varrebbe per i ricercatori: le norme per procedere alle assunzioni scadono a fine anno e dal 2011 non si potranno bandire nuovi posti se non sarà in vigore la riforma. Anche il fondo premiale previsto dal ddl, che assegna su base meritocratica parte degli scatti stipendiali bloccati – fanno sapere dal ministero – non entrerebbe in vigore.
Ma le sigle che hanno firmato l’appello al Senato – Adi, Adu, And, Andu, Auri, Cisl-Università, Cnru, Cnu, Conpass, Cpu, Csa, Cisal Università, Flc-Cgil, Rdb-Usb, Rete 29 Aprile, Snals-Docenti Università, Sun, Udu, Ugl-Università e Ricerca, Uilpa-Ur – non ci stanno. E annunciano per il 9 dicembre una grande mobilitazione in tutta Italia di studenti, docenti e precari, che culminerà con un sit-in davanti a Palazzo Madama, dove i senatori dovrebbero esprimere il voto definitivo del Parlamento sul disegno di legge Gelmini.
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