Se prima erano troppi ora sono troppo pochi. Il numero chiuso sempre più ristretto e difeso con test d’ingresso consederati inaccessibili mette in crisi la sanità italiana che si trova sprovvista di chirurghi, ortopedici, ginecologi, pediatri, geriatri, anestesisti e radiologi.
E a breve l’Italia, che tanto ha limitato le speranze di giovani nostrani che sognavano una carriera medica, si troverà costretta a importare medici dall’estero. Basti pensare che da quest’anno fino al 2018 i medici che andranno in pensione saranno il doppio di quelli che verranno assunti. Dati che si traducono in una carenza di 18.000 medici tra il 2012 e il 2014 che diventeranno 22.000 tra il 2014 e il 2018.
Alcune specialità sono già in stato di sofferenza avanzato. Anestesia, nefrologia, geriatria (con la popolazione che invecchia), nefrologia, pediatria e tutta la chirurgia. Carenza immotivata se si pensa ai tantissimi giovani scartati nelle prove di ammissione alla facoltà. Ma se prima il mestiere del medico era il sogno di tanti che lo consideravano “il lavoro più bello del mondo”, non è detto che ora sia ancora così.
Ma anche una crisi di “vocazioni”, a quanto pare: al Policlinico di Milano un quinto delle 278 borse di studio in Chirurgia generale non viene assegnato per mancanza di candidati. “Si guadagna poco e si rischia molto”, commentano tanti giovani specializzandi. Proprio per tutte queste ragioni nelle scorse settimane il Codacons si è appellato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al fine di far abolire il numero chiuso.
Il presidente dell’associazione di tutela dei consumatori, Marco Maria Donzelli, ha definito i test d’ammissione antistorici e assurdi e ha accusato le lobby dei professionisti come vere artefici del numero chiuso: “Impedendo nuovi ingressi – ha commentato -, controllano l’accesso alla professione, non devono dividere con altri il loro reddito e così guadagnano di più”.