“Da 370 settori scientifico-disciplinari a 190 settori concorsuali, raggruppati in 50 macroaree”. Potrebbe essere questa la nuova classificazione del sapere accademico che sarà stabilita dal secondo decreto ministeriale attuativo della riforma dell’università. Almeno stando ai contenuti anticipati da Italia Oggi in un articolo di Benedetta Pacelli.
Dopo il primo decreto approvato a gennaio, che stabilisce le modalità per l’abilitazione nazionale di ricercatori e docenti, è in cantiere infatti un nuovo documento (il secondo di una lunga serie ancora a venire) che rimodulerà l’accorpamento dei settori scientifici. Che significa? La riorganizzazione riguarda i processi concorsuali, con l’obiettivo dichiarato da parte del ministro Mariastella Gelmini di allargare la platea dei decisori, in modo da evitare la concentrazione di potere in settori troppo ristretti.
Secondo le anticipazioni fornite dal quotidiano economico, i nuovi concorsi per conseguire l’abilitazione nazionale (valida quattro anni e senza numero chiuso) saranno accorpati per settori scientifici di competenza, ognuno dei quali dovrà garantire almeno 30 ordinari per avere una autonoma commissione che avrà impatto, attraverso l’abilitazione, tanto sul reclutamento che sulle progressioni di carriera. Ogni anno, 60 giorni prima che il governo bandisca il concorso per l’abilitazione nazionale, sarà nuovamente verificata la congruità numerica di ciascun settore.
La moltiplicazione dei settori ha fatto sì infatti che in alcuni ambiti fossero davvero pochissimi i decisori incaricati di valutare i candidati, facendo il bello e il cattivo tempo. Il loro accorpamento punta dunque a scardinare lobby e meccanismi di potere: resta da vedere però cosa accadrà a livello locale, dove si gioca la partita della “chiamata” che pescherà il “migliore” tra i candidati interessati, dal mare degli abilitati a livello nazionale. Anche in questo caso varranno i settori concorsuali a maglie larghe di cui si è parlato sopra oppure la longa manus delle lobby baronali sarà in agguato a livello locale? La domanda resta aperta. E la strada dei decreti attuativi è ancora lunga.