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Editoriale. Il business delle tesi? Molto di più di un gesto illegale

da | Ott 2010 | News | 0 commenti

Ne ha parlato ieri il Tg1, oggi anche Beppe Severgnini sul Corriere della Sera. Si tratta del business delle tesi su committenza, quelle sub-appaltate, quelle comprate su ordinazione, insomma. Gli studenti affidano il lavoro di tesi a ‘ghostwriter’ travestiti da consulenti offrendo in cambio pagamenti profumati. A quanto pare un fenomeno sempre più diffuso tra i laureandi italiani che preferiscono delegare l’ideazione e la stesura della tesi di laurea a terzi. I prezzi vanno da qualche centinaia di euro a migliaia di euro, ovviamente i pagamenti avvengono in nero. Un gesto che vede coinvolti diversi attori e che, a parte il fatto di essere illegale, apre una serie di questioni culturali e sociali, oltre che sullo stato di salute dell’università italiana e dei suoi ‘abitanti’.
La compravendita delle ‘tesi farlocche’, infatti, prima di tutto ci fa interrogare sulla qualità della didattica negli atenei, a partire dalle relazioni tra studenti e docenti. Come è possibile, infatti, che un docente non si renda conto che un intero lavoro di tesi non sia stato svolto personalmente dal proprio candidato? Significa almeno che tra candidato e docente non c’è un rapporto diretto e continuativo tale da garantire un apprendimento costruttivo e quindi una rielaborazione utile delle tematiche affrontate.
Del resto, dopo intere sessioni di esami superate studiando semplicemente i contenuti dei libri inclusi nel programma, non c’è da meravigliarsi: nell’Università italiana la relazione e la presenza non sono più valori ma perdite di tempo.
Ma decidere di affidare il proprio lavoro di tesi a terzi mette in luce anche altro. Non solo che l’illegalità non è un problema per l’italiano medio, anche giovane, ma di più: che lo ‘studente universitario italiano tipo’ ritiene inutile il lavoro di tesi. Un lavoro dispendioso in termini di tempo ed energie, che spesso e volentieri non viene letto dallo stesso relatore, e rispetto al quale non viene restituito nessun tipo di riconoscimento.  A dimostrazione di questo, la pratica diffusa del copia e incolla usata per tesi e tesine.
Così, la tesi diventa esclusivamente prerequisito burocratico per l’ottenimento del titolo di studio, passaggio amministrativo propedeutico al conseguimento del diploma finale. Una pura formalità. E allora che senso avrebbe spendersi in prima persona, investire il proprio talento in un’impresa del genere? Nessuno.
Ma c’è una terza questione, che forse dà ancora meglio l’idea di come alcuni pericolosi meccanismi abbiano contaminato persino gli ambienti che avrebbero dovuto esserne preservati più degli altri, vale a dire quelli deputati alla formazione delle nuove generazioni. Ideare e scrivere una tesi di laurea non è cosa da tutti. C’è bisogno del giusto grado di attenzione ai dettagli, di attitudine alla ricerca delle fonti, di capacita di elaborazione di temi astratti e di analisi. Competenze che spesso e volentieri si acquisiscono proprio nel periodo degli studi universitari.
Ma quindi chi sono questi scrittori fantasma travestiti da consulenti, pagati in nero in cambio di una tesi ben fatta? Non ci sembra azzardato ipotizzare che si tratta degli stessi studenti solo qualche anno fa impegnati  a scegliere gli esami giusti per diventare avvocati, economisti, scienziati, e che poi non hanno trovato un minimo di prospettive nel mercato del lavoro. Adesso, se i laureandi di oggi finanziano i precari di domani, e questi ultimi aiutano i primi ad uscire il prima possibile e con il minimo del coinvolgimento dai laureifici del belpaese, allora signori, siamo davvero arrivati alla frutta.

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