Sette laureati italiani su dieci cercano lavoro solo all'estero
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Sette laureati italiani su dieci sono sfiduciati e cercano lavoro all’estero. Molti sono altamente specializzati

da | Apr 2014 | News | 0 commenti

Sono talmente poco convinti di poter trovare un posto in Italia che sette laureati su dieci cercano lavoro direttamente all’estero. Stando a un’indagine della T-Island, la prima società di recruiting italiana specializzata sul solo mercato del lavoro internazionale, la maggioranza di coloro che si candidano per una posizione lavorativa al di fuori dei confini nazionali è in possesso di una laurea e otto candidati su dieci conoscono bene l’inglese, mentre più di uno su quattro ha una certa dimestichezza anche con altre lingue. Senza contare che almeno la metà, circa il 56 per cento, dei nostri connazionali che hanno deciso di emigrare ha cumulato un’esperienza professionale pari o superiore ai 6 anni.

T-Island si occupa di selezionare, verificare e mettere in contatto con una rete di 76 aziende sparse in tutto il mondo i candidati italiani in cerca di assunzione all’estero e da quando è nata, solo pochi mesi fa, ha già ricevuto 575 richieste e aperto quasi 40 posizioni. I dati forniti sono, dunque, particolarmente attendibili e parlano di una situazione preoccupante: sono sempre più numerosi i laureati italiani che cercano la fuga in qualche Paese estero per meglio realizzarsi e tra loro moltissimi sono i profili “high skilled, ovvero ad alto tasso di competenze.

E sono proprio le figure più specializzate a essere maggiormente apprezzate rispetto ad altre. Per loro, infatti, scatta subito il feedback dell’azienda: “Se c’è un professionista o un lavoratore molto bravo (medico, manager, progettista, lavoratori nel settore IT), andiamo a cercare società o servizi compatibili”, spiega Stefano Carpigiani, amministratore delegato della T-Island. Ma a cercare lavoro all’estero non sono solo i laureati più esperti. Per neolaureati e lavoratori con competenze più comuni o ridotte, però, i tempi d’attesa si fanno più lunghi.

Il risultato è un continuo impoverimento del nostro Paese per la perdita di capitale umano qualificato e delle risorse messe in campo dallo Stato e dalle aziende per la formazione di questi lavoratori che, ormai sfiduciati, decidono di cercare all’estero il successo lavorativo che in Italia sembra sempre più un sogno proibito, esportando le proprie competenze e mettendole a frutto oltre i confini italiani.

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