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Riforma, ddl incardinato al Senato. Gelmini: “È un provvedimento forte”

da | Lug 2010 | News | 2 commenti

ddl gelmini incardinato senato


Come previsto, è stato incardinato dopo l’esame al Senato il ddl sulla riforma dell’Università firmata Gelmini. Al disegno di legge, come ha riferito il senatore Giuseppe Valditara, relatore dell’esame in commissione istruzione, sono stati presentati alla fine 438 emendamenti, e non tutti dall’opposizione. 80 sarebbero infatti gli emendamenti presentati dalla stessa maggioranza. Il ministro Gelmini si è detta soddisfatta di quello che ha definito un “provvedimento forte” che dall’aula dovrà uscire ancora più “rafforzato”.

Il ddl, ha detto Gelmini, è stato frutto di una “grande concertazione”. Sicuramente prima della pausa estiva il provvedimento vedrà il via libera del Senato, ha aggiunto Gelmini. La discussione sul ddl prosegue infatti nei prossimi giorni prima dell’approvazione del Senato che consentirà poi al disegno di diventare legge entro ottobre.
Tra le novità introdotte dalla riforma la cancellazione del ricercatore a tempo indeterminato – che insieme al mancato riconoscimento giuridico ha scatenato lo sciopero bianco dei ricercatori, mandati di 8 anni per i rettori, un fondo per studenti e docenti meritevoli.
Questa riforma è la “premessa necessaria per ridare competitività al sistema universitario” secondo il relatore Valditara, che ha aggiunto anche che però dovrà essere seguita da risorse adeguate. In particolare Valditara ha fatto riferimento al ripristino in finanziaria degli scatti di stipendio per professori e ricercatori. Il problema delle risorse è al centro della mobilitazione che sta scuotendo gli atenei dal Nord al Sud dello stivale e che vede docenti, stodenti e ricercatori uniti contro il ddl e la manovra finanziaria.

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giovanni rosa
giovanni rosa
13 anni fa

Caro lettore, caro Ministro,
la cosiddetta “riforma” e la grancassa pubblicitaria che l’accompagna tentano di nascondere una realtà brutalmente diversa: con i tagli decretati dal governo e il blocco del reclutamento, con 50000 precari rottamati e 1/3 del personale docente e ricercatore in vista di pensione senza ricambio, l’università pubblica è condannata alla bancarotta e al ridimensionamento della qualità e quantità dell’offerta didattica. A “costo zero” e con 0.8% del PIL si pretendono risultati pari a quelli di paesi che investono 4 volte più del nostro. Lo strombazzato merito è affidato a uno stravagante indicatore “aziendale”, meno di 90% di un bilancio decrescente deve essere speso per stipendi. In questo paese dove imperversano e straparlano sedicenti manager e ingordi consigli di amministrazione, si vuole imporre un unico inadatto vestito da “ASL” a diversissimi contesti di atenei, dipartimenti, settori disciplinari. Nulla di quanto contenuto nella “riforma” affronta e risolve problemi concreti. Molto di quanto proposto peggiora la situazione e cancella l’orizzonte di chi legittimamente ambisce a una carriera universitaria. Chi, come il sottoscritto, fa parte dell’università, dopo anni di impegno intenso, qualificato e documentato vede mortificato il sapere, il saper fare, il saper insegnare. Il Paese, gli studenti e le loro famiglie, si renderanno presto conto della irreparabile perdita di una istituzione fondamentale per il futuro di tutti, e la responsabilità dell’intervento, con l’aggravante della mistificazione, ricadrà sui responsabili.
Giovanni Rosa,
docente di Roma La Sapienza

lucio
lucio
13 anni fa

Gentile prof. Rosa,
ho letto con attenzione il Suo intervento e non posso non essere d’ accordo su molti punti che Lei ha toccato. Io personalmente sono contrario a questa riforma che di sicuro mortificherà ancor di più il lavoro di tanti validi docenti e ricercatori. Mi permetta di osservare però che, se ci troviamo a questo punto, una responsabiltà abbastanza grossa l’ha anche l’università,o meglio, chi lavora in essa. Faccio riferimento ovviamente ad un certo modo di fare di taluni professori, i cosiddetti “baroni”, che hanno impedito ed impediscono un ricambio valido di risorse umane. Non è un mistero che grazie ad essi si siano favorite talune dubbie candidature con la conseguenza di un abbassamento della qualità della didattica. Per non parlare della proliferazione di diversi corsi universitari, alcuni dei quali con poche unità di iscritti, la qualcosa comporta uno spreco di risorse pubbliche. E vogliamo parlare delle consulenze che alcuni atenei hanno affidato ad esterni? Possibile che queste università non avessero risorse proprie? E si potrebbe continuare, ma mi fermo qui.
Con questo voglio dire che occorre soprattutto riformare dall’interno l’università e cosa migliore non può che essere l’adozione delle buone pratiche da parte di chiunque abbia un ruolo all’interno degli atenei.
Distinti saluti