Dopo il Rapporto Almalaurea 2009, arriva “Urg! Urge ricambio generazionale, quanto e come il Paese si rinnova”, il primo Rapporto sul ricambio generazionale in Italia in ambito lavorativo e universitario, organizzato dal Forum Nazionale dei Giovani, in collaborazione con Unicredit e CNEL.
Il risultato dello studio è emblematico del sentore comune giovanile: la struttura italiana del mercato del lavoro blocca l’accesso dei giovani in tutti gli ambiti lavorativi almeno fino ai 35 anni, la soglia d’età in cui diventa lecito “iniziare” a pianificare una carriera professionale.
Dalla politica al giornalismo, dall’avvocatura alla medicina, i giovani italiani sono pochi e sottopagati. E nel campo dell’università le cose non migliorano: l’età media di docenti e ricercatori universitari è di 51 anni. E giovani sono solo il 7,6% del totale.
In Italia si invecchia dunque, si vive più a lungo e, a causa della costante precarizzazione lavorativa, si fanno meno figli, e tutto questo a causa dell’eccessiva longevità lavorativa della classe dirigente e dalla de-meritocrazia dilagante.
Soltanto un giovane su dieci vede infatti il proprio contratto di collaborazione trasformarsi in lavoro a tempo indeterminato: un passaggio che, stando ai dati dell’Istat, non è affatto nella norma. Il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, a distanza di un anno erano ancora nella stessa posizione.
Il risultato è un allungamento infinito delle carriere, per cui si è costretti ogni volta a ricominciare dalla base della piramide, rinunciando a poter ricoprire posizioni di rilievo nell’immediato futuro. L’assunzione di posizioni rilevanti dipende infatti dall’ esperienza lavorativa in soli termini di anzianità aziendale, a prescindere dai livelli di produttività e delle competenze di ciascuno.
Per non parlare delle carriere quasi inaccessibili ai giovani, come il mondo della politica (meno di 10% di under 35% tra i deputati), del giornalismo (l’età media dei giornalisti professionisti è di 54 anni, quella dei pubblicisti è di 52), della medicina (meno del 12% di medici sotto i 35 anni), dell’avvocatura (estrema difficoltà ad affermarsi e decenni di “stage” presso i grandi studi notarili) e, naturalmente, del notariato, professione elitaria per definizione, con il 17,5% di “figli d’arte”.
C’è dunque da meravigliarsi se i giovani italiani protagonisti della fuga dei cervelli verso lidi più meritocratici ritengano improbabile, se non del tutto impossibile un rientro in patria?