Non sempre dalla concentrazione si trae beneficio, anzi: se è eccessiva, spesso finisce per creare distrazione. A svelare quello che sembra un vero e proprio paradosso è uno studio italiano, condotto dall’Università di Milano-Bicocca – precisamente dal dipartimento di Psicologia – assieme all’ateneo e all’istituto di Neuroscienze di Verona. La ricerca è stata pubblicata anche sul Journal of Experimental Psychology: General, una rivista bimestrale che contiene articoli riguardanti la Psicologia sperimentale.
Lo studio ha preso in esame 126 studenti della Milano-Bicocca, con una media di 26 anni. I ragazzi sono stati sottoposti a una serie di test, dopo averli avvertiti che sarebbero potuti entrare in contatto con alcuni elementi di distrazione, che però non sono stati sempre attivati. Durante una prova, ad esempio, è stato chiesto loro di tenere in entrambe le mani uno stimolatore tattile, indicando di volta in volta quale dito stesse ricevendo la vibrazione. Tutto ciò cercando di non concentrarsi troppo su una luce rossa intermittente che si trovava vicino le dita. Attraverso la misurazione del tempo di reazione tra la stimolazione e la risposta, da questo test come dagli altri effettuati è emerso che troppa concentrazione può distrarre.
In particolare, durante queste prove si è notato che il solo aspettarsi una distrazione, con i conseguenti sforzi per cercare di evitarla nel caso fosse sopraggiunta, rendeva peggiore la performance di concentrazione. Gli esperimenti sono stati ripetuti più volte e i risultati si sono rivelati sempre uguali. “Questa condizione – spiega Angelo Maravita, professore associato di Psicobiologia all’Università di Milano-Bicocca – suggerisce che il controllo dei potenziali distrattori fa parte delle attività intrinseche del cervello ed è una funzione sopramodale, controllata da una sorta di ‘centrale’ che sovrintende a più compiti collocati in diverse aree, coordinandoli”.
Lo studio italiano condotto sugli effetti che possono derivare dalla troppa concentrazione potrebbe avere dei risvolti positivi in campo medico-neuropsicologico, in particolare su quelle persone che presentano una disfunzione nell’area frontale del cervello, in seguito a forti traumi cranici, ictus o emorragie. Oltretutto, i risultati ottenuti da questa ricerca potrebbero ritornare molto utili per individuare i rischi cui possono andare incontro quei “soggetti che operano in situazioni complesse che richiedano una forte concentrazione su un compito, ma anche un’allocazione di risorse per difendersi da possibili distrazioni: pensiamo ad esempio – dicono gli studiosi – a piloti o controllori di volo”.
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