Si è trasformata in occupazione la protesta degli studenti universitari contro i tagli alle borse di studio nella Regione Piemonte. Oltre cento giovani occupano ormai da due giorni una residenza universitaria dell’ente regionale per il diritto allo studio, l’Edisu, chiusa per lavori di ristrutturazione. “Ora i conti li fate con noi. Universitari in lotta” recita lo striscione esposto all’esterno dell’edificio, in via Verdi a Torino.
I “borsisti Edisu”, così si firmano gli occupanti, rivendicano l’iniziativa come una necessaria risposta ai tagli operati dalla Regione guidata dal leghista Roberto Cota, che hanno impedito di coprire l’intero ammontare delle borse di studio riconosciute lasciando senza sostegno per il diritto allo studio numerosi studenti e studentesse “idonei ma non assegnatari”.
Gli occupanti chiedono al presidente dell’Edisu, Umberto Trabucco, di farsi carico dei numerosi casi di studenti ai quali è riconosciuta la titolarità del diritto ma non è data la possibilità di esercitarlo. Trabucco però giudica l’occupazione inaccettabile e paventa il rischio di un blocco dei fondi per la ristrutturazione stanziati da Regione e ministero e legati a una esecuzione “indilazionabile” dei lavori.
Gli studenti dal canto loro denunciano le prime paradossali conseguenze del taglio ai fondi per il diritto allo studio: due fratelli tunisini, Amna e Khaled, ospiti di una residenza universitaria torinese, hanno dovuto lasciare l’alloggio con l’intervento delle forze dell’ordine e poi anche gli studi, perché appunto idonei a ricevere la borsa in base ai parametri di reddito e di merito ma non rientranti nel 30 per cento di assegnatari effettivi.
Molto diverse tra loro le reazioni del mondo politico: mentre i leghisti chiedono lo sgombero immediato dell’edificio e parlano di occupazione messa in atto da delinquenti, il Pdci solidarizza con gli studenti definendo giusta la loro azione a difesa di un diritto sacrosanto. La contestazione della scelta del governo regionale prosegue ormai da tempo, con gli studenti che non solo denunciano i tagli, ma evidenziano anche i rischi legati all’introduzione di un meccanismo di prestito d’onore che, spiegano, con la crisi e la disoccupazione rischia di diventare un debito permanente a carico dei giovani.
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