Ricercatrici penalizzate nelle università svedesi
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Svezia, troppi fondi a ricercatori maschi

da | Gen 2011 | News | 0 commenti

I Paesi del Nord Europa sono all’avanguardia nella promozione delle pari opportunità, eppure nelle università svedesi sembra che l’emancipazione femminile non sia ancora arrivata. Già nel dicembre 2009, infatti, la Corte d’appello svedese giudicò illegale il modo in cui la Swedish University of Agricoltural Sciencies di Uppsala aveva favorito gli uomini rispetto alle donne nell’accesso al Programma di educazione veterinaria.

Le quaranta studentesse che avevano sporto denuncia erano state rimborsate con una somma in denaro ma a nessuna era stato riassegnato un posto all’interno del programma di studi.
Oggi le polemiche riprendono in seguito a un’indagine sui fondi destinati alla ricerca d’eccellenza nel paese scandinavo. Negli ultimi dieci anni, infatti, solo il 12,7% (su un totale di circa 2 miliardi di corone svedesi) è stato assegnato a donne.

Commentando l’accaduto, Kåre Bremer, rettore della Stockholm University, ha dichiarato: “Questa politica, che permette solo agli uomini di guidare importanti gruppi di ricerca, sta fortemente compromettendo l’uguaglianza tra i generi nelle università”. Nonostante le donne dimostrino risultati pari a quelli dei colleghi maschi e un tasso di abbandono durante gli studi universitari di gran lunga minore risultano ancora una volta penalizzate.

Ma sembra che il problema non sia solamente legato alla polemica tra i generi; è anche e soprattutto la modalità di allocazione delle risorse a preoccupare il mondo universitario svedese e a destare perplessità nei confronti degli atenei e del governo. Un rapporto recente evidenzia che i fondi attribuiti agli “uomini di ricerca eccellenti”, i docenti di mezz’età che guidano questi gruppi di ricercatori avrebbero potuto finanziare mille nuove cattedre, duemila assistenti o tremila ricercatori semplici all’anno.

Le iniziative d’eccellenza rischiano quindi di minare pesantemente la possibilità di investimento in altri settori universitari. Il rapporto definisce queste scelte una “politica di Robin Hood al contrario” e la considera una grave minaccia per la libera ricerca all’interno del sistema accademico svedese.

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