Studiare e lavorare si può? Dopo la provocazione del ministro Brunetta di istituire una legge anti-bamboccioni e la proposta di dare ai giovani un assegno mensile di 500 euro, torna all’attenzione dell’opinione pubblica la questione dell’indipendenza dei giovani dalla famiglia d’origine.
Al centro del dibattito c’è sicuramente la difficoltà dei giovani nel conciliare studio e lavoro, ambizioni universitarie ed esigenze economiche. Il primo passo per essere indipendenti dalla famiglia, infatti, consiste proprio nel cominciare a guadagnarsi qualcosa lavorando. Un obiettivo irraggiungibile per molti, che preferiscono laurearsi in tempo a spese di mamma e papà, piuttosto che disperdere le energie in tanti lavori, spesso non coerenti con il percorso di studi.
Che sia un problema studiare e lavorare è emerso anche dal nostro sondaggio. La maggior parte degli utenti, il 64 per cento, ha risposto infatti che non riesce a lavorare mentre è iscritto all’università.
Una scelta sicuramente condizionata da un sistema universitario che non è a misura di studenti-lavoratori, ma anche da un mercato del lavoro meno flessibile di quanto non si dichiari.
Nonostante sia in aumento la percentuale degli studenti-lavoratori, c’è da dire che in Italia lavoro e studio vengono ancora vissuti dalla maggior parte della popolazione universitaria come due dimensioni antagoniste. Per il 64 per cento degli utenti che ha risposto al nostro sondaggio, infatti, lavorare rallenterebbe o peggiorerebbe la qualità del percorso formativo. In che modo? Rendendo impossibile la frequenza quotidiana e sottraendo energie allo studio.
Il restante 37 per cento ha risposto che riesce a conciliare studio e lavoro, dedicando all’università solo una parte del tempo o addirittura “perché si può studiare a casa e andare all’università direttamente per l’esame”. In questo caso c’è comunque un prezzo da pagare: quello del confronto con i colleghi non lavoratori che hanno più tempo a disposizione e riescono a raggiungere risultati migliori in tempi più brevi.
Spesso, infatti, i lavori svolti dagli studenti universitari sono occupazioni non coerenti con il percorso di studi e che non garantiscono la piena indipendenza economica dalla famiglia d’origine. Il risultato? Anche gli studenti lavoratori il più delle volte sono costretti a restare a casa con i genitori, e nonostante la buona volontà di rendersi autonomi, almeno in parte, finiscono per rallentare il ritmo della carriera universitaria, come emerge anche dal rapporto 2009 sull’università del Cnvsu.
Del resto l’indagine Istat sulle difficoltà nella transizione dei giovani italiani allo stato adulto parla chiaro: sono i laureati che lasciano la famiglia, prima della tesi non si muove nessuno.Tranne per qualche eccezione, insomma, le cose sembrano rimaste ferme a cinquant’anni fa, quando per uscire di casa era necessario “il pezzo di carta” o “il posto fisso”. Ma è davvero così?
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No, perché il lavoro mi impedirebbe di seguire i corsi
La proposta del ministro Brunetta si ammanta di un moralismo che non convince e pretende invano di stornare l’attenzione dal vero problema degli studenti universitari italiani, ossia la possibilità di trovare un lavoro DOPO la laurea. A meno di condizioni familiari particolarmente disagiate, infatti, ritengo che ogni genitore cui interessi la realizzazione delle apsirazioni intellettuali del proprio figlio sia disposto anche a notevoli sacrifici economici pur di consentire a questi di studiare con tutti i mezzi necessari per perseguire gli obiettivi prefissi con i migliori risultati.Poter trovare un lavoro post-laurea all’altezza delle proprie passioni e competenze: that’s the question!in Italia. E’ significativo quanto mostrato dal sondaggio: lavorare durante gli studi è certamente meritorio per chi riesca a conciliare occupazione e studio, ma è del tutto inaccettabile esigere tale sforzo da uno studente che profonda integralmente le sue energie nello studio per sviluppare le competenze che poi il mercato del lavoro dovrebbe riconoscere e tener presenti, venendo incontro a queste piuttosto che offrire ante-tempus generici lavoretti per una manciata di spiccioli che, secondo il ministro, responsabilizzerebbero i giovani: come se un giovane studente impegnato non fosse già responsabilizzato di suo e avesse bisogno di dividersi tra studio e lavoro per diventare…grande! Ridicole, dunque, le parole del ministro e mediocri le sue proposte: segno della perversa volontà di chi in malafede vorrebbe scaricare sui giovani le responsabilità o, meglio, le irresponsabilità di una politica che non sa garantire un futuro certo a chi ha tanto faticato nello studio!
Si può fare con enormi sacrifici e una volontà ferrea! Sto completando una laurea sanitaria con l’obbligo di frequenza, ciò ha rivoluzionato il lavoro, licenziata da un posto di lavoro,mentre dall’altro però ho avuto una buona flessibilità d’orari e per due anni lavoravo la notte come cameriera. Mi son mantenuta all’università con esoneri tasse per merito e borse di studio, è stata una fatica disumane e non esisteva tempo libero.Però arrivo alla laurea con una media vicino al 29 e in corso quindi non è impossibile farlo, piuttosto è una scelta che non tutti son disposti a fare!
Studio una materia scientifica e lavoro come artigiana, inoltre sono ho famiglia. Oramai sono soltanto un cadaverino alla Tim Burton. Purtroppo sono andata fuori corso però penso che sono brava lo stesso visto che c’è chi sta peggio di me nonostante l’unico loro pensiero sia l’Università e basta. Inoltre i professori del mio corso non stimano molto gli studenti lavoratori, anzi. Che dire: non mollo, un giorno (aspetto l’anno prossimo) mi laureerò.
Dipende tutto dal corso universitario, dall’università e dal tipo di lavoro svolto.
Purtroppo son caduto nella condizione dello studente-lavoratore per forze maggiori.
Il mio lavoro (legato all’informatica) prevede delle scadenze di consegna al cliente quasi settimanali. Per poter finire il lavoro in tempo ed evitare problemi, devo dedicare ogni attimo possibile della giornata fino alla consegna.
Per far questo non posso seguire le lezioni o i laboratori della magistrale in ingegneria. Tali laboratori prevedono l’obbligo di frequenza, e certi corsi chiedono la consegna di homework settimanali.
Quindi se da un lato completo il lavoro per la consegna, dall’altro sono impossibilitato a seguire il laboratorio che ha l’obbligo di frequenza.
Il mio capo si difende con un “basta organizzarsi”, ma l’organizzazione in questi casi non basta, visto che i paletti non li metto io, ma li decidono gli altri (il professore con i laboratori e il capo con le scadenze).
Per quanto riguarda l’efficienza nel superare gli esami, è drasticamente calata passando da 4 esami a sessione a 1.
Oltre a questo, si aggiungono altre problematiche come le tasse universitarie. L’iscrizione part time al politecnico non prevede la riduzione delle tasse (che tra l’altro non so nemmeno a quanto possa ammontare visto che ora ho un mio reddito) e se si sfora la magistrale di due anni, lo studente non ha piú diritto alla riduzione tasse finendo in fascia alta, che penso siano 3mila euro all’anno se non sbaglio.
Magari lavorare e studiare è fattibile facendo il paninaro al McDonald e studiando qualcosa che in nessuna materia abbia un minimo obbligo di frequenza. Altrimenti prima o poi il nodo arriva al pettine. E spesso non sempre si possono sapere a priori queste cose, capita che all’inizio dei laboratori il professore si presenti e prenda le firme. Diventa quindi anche difficile fare un planning a lungo termine.
A conti fatti sono piú gli svantaggi che i vantaggi:
1) tempi di conseguimento triplicati
2) studio frammentato (certe materie è meglio studiarle insieme a pacchetto poichè basate sullo stesso argomento)
3) rischio di perdere la riduzione tasse
4) stanchezza e preoccupazioni di non farcela…quindi poca concentrazione
5) inghippi di varia natura del tipo: “io l’avevo spiegato a lezione”…lezione che non è stata seguita per poter lavorare
6) stipendio….in gran parte bruciato per mantenere la macchina per andare al lavoro.
7) problemi sul lavoro quando siamo a lezione…azienda che cade in paranoia…lamentele del capo
8) se il lavoro non si avvicina al campo di studio, risulta pure inutile sul curriculum
9) nonostante la triennale sono stato configurato al pari di un perito. Quindi dopo 3,5 anni di studio e 30mila euro di spese (essendo stato un fuorisede), non prendendo la magistrale è come aver buttato soldi e tempo.