2 studenti britannici su 10 entrano nell'industria del sesso
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Studenti britannici, il 22 per cento entra nell’industria del sesso per pagare le tasse universitarie

da | Mar 2015 | News | 0 commenti

Alla luce del sole sono normalissimi universitari, ma nel privato nascondono un segreto: fanno parte dell’industria del sesso. Sembra che oltre un quinto degli studenti britannici si trovi in questa situazione, spinto dalla necessità di far fronte alle esose tasse. La rivelazione viene da un’indagine della Swansea University dal titolo “Student Sex Work Project”.

Gli studenti e le studentesse del Regno Unito che si dividono tra l’università e l’industria del sesso sarebbero il 22 per cento. Messi da parte libri e lezioni accademiche, questi giovani, lavorano in centri massaggi dalla dubbia reputazione, calcano i palcoscenici di locali a luci rosse come spogliarellisti o ballerine di lap dance, sono attivi nel mondo della pornografia online e delle chat erotiche. E c’è anche chi fa la escort o si dà alla prostituzione vera e propria. Ma una cosa accomuna quasi tutti: i guadagni vengono investiti nella propria formazione.

In Gran Bretagna, del resto, le tasse universitarie sono molto alte. La media sfiora le 9mila sterline all’anno, che diventano molte di più per gli atenei più prestigiosi (come Oxford e Cambridge), e più volte gli studenti hanno organizzato manifestazioni nelle quali hanno letteralmente assediato il centro di Londra per chiedere che rientrassero i tagli all’istruzione imposti dal governo Cameron, dai quali è derivata l’impennata delle rette.

Chi non vuole abbandonare gli studi spesso è costretto ad indebitarsi ed è proprio per evitare di laurearsi ritrovandosi già sulle spalle un cumulo di passività da dover ripagare che il 45 per cento quasi la metà degli studenti britannici che hanno scelto di entrare nell’industria del sesso ha intrapreso questa strada. Gli orari di lavoro, del resto, si conciliano bene con le necessità imposte dallo studio. Di solito si prevede un impegno per brevi periodi, per lo più per poche ore a settimana (cinque al massimo), così c’è tutto il tempo per andare a lezione e preparare gli esami.

Le storie di studenti che vendono il proprio corpo per pagarsi l’università non sono una novità, ma l’indagine della Swansea University mostra che il fenomeno è molto più diffuso di quanto si pensi. Un dato che non può certo passare inosservato.

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