Solo un ricercatore su dieci viene assunto dalle università
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Ricercatori, dal 2003 gli atenei ne hanno formati 65mila ma solo 1 su 10 è stato assunto

da | Lug 2014 | News | 0 commenti

“Un immenso spreco di risorse umane”: così Flc Cgil ha definito la dispersione dei ricercatori formati dalle università italiane. Negli ultimi dieci anni gli atenei di casa nostra ne hanno formati circa 65mila, ma solo uno su dieci è stato poi effettivamente assunto. Per gli altri, dopo anni trascorsi a portare avanti studi o a tenere lezioni, scaduto il loro contratto a tempo determinato, si sono chiuse le porte del mondo accademico. Per lo meno di quello nazionale, perché spesso i cervelli che non abbiamo saputo valorizzare se ne sono andati all’estero.

Solo per poco meno del 7 per cento dei ricercatori precari italiani il sogno dell’inserimento in pianta stabile nell’organico di un ateneo diventa realtà, mentre per il 93 per cento rimane un miraggio. A segnalare il dato è stato uno studio commissionato da Flc Cgil e presentato alla Sapienza. Dall’indagine è emerso anche come nel decennio 2003-2013 sia cresciuto vistosamente il ricorso da parte delle università ai contratti a tempo determinato, a quelli a progetto, agli assegni di ricerca e alle borse post-doc, che sono passati da 18mila a 31mila.

A determinare questa situazione sono diversi fattori, uno dei quali è sicuramente il blocco del turn over che flagella il sistema da anni e impedisce l’assorbimento di forze nuove. Ma il raddoppio del numero di ricercatori precari si spiega probabilmente meglio con la riduzione dei fondi a disposizione degli atenei, che non consente di creare posizioni stabili se non per un numero esiguo di loro. Così, per nove precari della ricerca su dieci, al termine del contratto l’università chiude le porte.

Ma chi sono questi 65mila studiosi che nel periodo 2003-2013 hanno contribuito a far funzionare i nostri atenei? La ricerca Flc Cgil mostra che in poco più della metà dei casi si tratta di donne (57 per cento), con un’età di circa 35 anni e senza figli. Per loro la media è di sei contratti a tempo determinato accumulati, ma c’è anche chi ne ha avuti trenta.

Stando a quanto essi stessi hanno dichiarato nell’ambito dell’indagine, per quasi tutti il tipo di inquadramento condiziona negativamente il lavoro. Anche per questo motivo il 60 per cento dei dottorandi intervistati ha dichiarato di considerare probabile un trasferimento all’estero per proseguire la propria esperienza accademica. Del resto, rimanendo in Italia i ricercatori che sono espulsi dal sistema universitario si trovano quasi sempre a svolgere lavori nei quali le competenze acquisite non sono utilizzate, vanificando gli sforzi compiuti. Il tutto con un enorme spreco di capitale umano altamente qualificato.

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