Team di ricercatori scopre proteina-sentinella del Parkinson
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C-Rel, la proteina-sentinella del Parkinson. La scoperta è di alcuni ricercatori italiani dell’Inn

da | Ago 2012 | News | 0 commenti

Un gruppo di ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze (Inn), coordinato da Marina Pizzi e Pierfranco Spano, ha scoperto la proteina-sentinella del Parkinson, una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale che solo in Italia colpisce 10 mila persone ogni anno. Lo studio, che è stato descritto sulla rivista Brain, ha visto la collaborazione anche delle università di Brescia, Verona, Cagliari, di quella britannica di Cambridge e della Cornell University di New York.
Secondo i ricercatori dell’Inn, la proteina-sentinella che ci difenderebbe dal morbo di Parkinson è la c-Rel, che di solito ha il compito di proteggere i mitocondri, cioè le centrali energetiche che si trovano in tutte le cellule, anche quelle del cervello, dai radicali liberi. Lo studio, condotto sui topi, ha rivelato che, quando la c-Rel non funziona oppure non è prodotta, compaiono i tipici sintomi di questa malattia degenerativa. Così, ad esempio, i movimenti del corpo si fanno più lenti, rigidi e meno coordinati. Ora uno dei prossimi obiettivi della ricerca sarà individuare una terapia farmacologica capace di attivare tale proteina.

Trovare una cura efficacia contro il Parkinson, tenendo in considerazione la scoperta fatta dai ricercatori dell’Inn, non sarà subito facile ma sono state già individuate le tappe da seguire. Prima di tutto occorrerà individuare le varie forme, dette polimorfismi, con cui si manifesta la mancanza della proteina-sentinella c-Rel nelle persone affette dalla malattia. Questo è un lavoro che si sta “già facendo – spiega la ricercatrice Marina Pizzi – in collaborazione con il San Camillo di Venezia. Questa prima fase potrebbe risultare piuttosto breve, anche due anni”. Dopodiché, sarà necessario mettere a punto un sistema per fare diagnosi e scoprire quali fattori espongano maggiormente alla malattia.
Per riuscire a individuare una vera e propria terapia occorreranno sicuramente tempi molto più lunghi, perché “parallelamente alla ricerca dei polimorfismi – aggiunge Pizzi – dovremo capire me

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