Il futuro dei ricercatori pubblici italiani si fa incerto. Negli atenei diminuiscono infatti i bandi di concorso per assunzioni a tempo indeterminato, e crescono quelli per assunzioni a tempo determinato. Aumentano quindi i concorsi per ricercatori a termine, organizzati in tempi ristretti e ritagliati su misura per candidati specifici.
In particolare, sempre più atenei rinunciano ad utilizzare il cofinanziamento ministeriale, vale a dire i fondi stanziati dal Miur per l’assunzione di ricercatori a tempo indeterminato. A denunciarlo è l’Apri, Associazione precari della ricerca italiani, che qualche settimana fa ha chiesto spiegazioni ai Rettori delle Università italiane.
A rispondere per primo alla questione sollevata dall’Apri, è stato il Rettore dell’Università di Trento, Davide Bassi. “Confermo – ha scritto il rettore in una mail al presidente dell’Apri – che l’Università di Trento non utilizzerà il cofinanziamento per ricercatori 2008 e non prevede di utilizzare neppure la quota 2009“. Secondo quanto scritto da Bassi, i vantaggi del cofinanziamento non sarebbero poi così convenienti, soprattutto per il fatto che riguardano solo tre anni e non prevedono coperture per gli anni successivi.
Il problema, spiega il Rettore di Trento, è che i soldi del ministero non bastano a coprire le casse al verde delle Università. Così gli atenei preferiscono assumere ricercatori a termine, che costano di meno, piuttosto che usufruire del cofinanziamento ministeriale per ricercatori a tempo indeterminato che costerebbero di più, sopratutto nel lungo termine.
“Si tratta quindi di un falso incentivo – spiega il Rettore Bassi nella mail all’Apri, riferendosi ai fondi del Miur – perché chi ha bandito questi posti si troverà senza fondi per coprire i costi degli anni successivi“. Riguardo alla fine che faranno i fondi del Miur per l’assunzione di ricercatori a tempo indeterminato, il Rettore spiega: “La linea adottata dalla Crui è quella di usarli ad integrazione del Fondo di finanziamento ordinario”.
Posto fisso … ancora !!!
ma cosa vuole dire posto fisso. Insieme alla Francia siamo rimasti solo noi a volere il “posto fisso” !!
Hai ragione Federico. Il fatto è che in Italia è rimasto fisso tutto. La maggior parte dei giovani lo considera un paese “immobile”, e questo vale anche per il mercato del lavoro che non è affatto flessibile.
Quindi non è poi così strano che nei desideri dei ricercatori italiani ci sia ancora il posto fisso, per ora è l’unica alternativa capace di garantire continuità alla carriera.