Parlare di emozioni migliora le capacità cognitive dei bambini
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Emozioni, se i bambini ne parlano sono più empatici e hanno migliori capacità cognitive. Lo svela uno studio

da | Dic 2013 | News | 0 commenti

Parlare delle emozioni – rabbia, paura, felicità, tristezza, colpa – rende i bambini più empatici e affina le loro abilità cognitive, come la capacità che consente di prevedere i comportamenti degli altri sulla base dell’inferenza dei loro stati mentali. A rivelare ciò è uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Child Psychology e condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Università di Manitoba del Canada.

La dimostrazione che parlare delle emozioni migliori le capacità cognitive dei bambini, rendendoli anche più empatici, è scaturita dall’esame di 110 alunni delle scuole elementari dell’hinterland milanese (di età compresa tra i 7 e gli 8 anni), suddivisi in un gruppo sperimentale e uno di controllo. Dopo una fase di pre-test con prove individuali riguardanti la comprensione delle emozioni, le abilità cognitive e l’empatia, nella fase successiva di training – che è durata circa due mesi – i bambini del gruppo sperimentale, in seguito all’ascolto di storie a contenuto emotivo, sono stati coinvolti (suddivisi a loro volta in piccoli gruppi) in vere e proprie conversazioni sulla comprensione della natura, delle cause e della regolazione delle emozioni. Quelli del gruppo di controllo, invece, si sono limitati ad ascoltare tali conversazioni e a fare successivamente un disegno.

A seguire, una fase di post-test durante la quale ai bambini sono state nuovamente proposte le prove; infine, dopo due mesi, tutti i partecipanti sono stati sottoposti nuovamente alla prova di comprensione delle emozioni per verificare la persistenza degli effetti prodotti dall’intervento. Ne è emerso, per l’appunto, che parlare di emozioni aiuta a migliorare le capacità cognitive dei più piccini e li rende più empatici. Questo è accaduto, alla fine dello studio, solo ai candidati del gruppo sperimentale, mentre la stessa cosa non si è verificata per quelli del gruppo di controllo.

Tale risultato si deve all’uso della conversazione in piccolo gruppo, che ha favorito il decentramento cognitivo, l’assunzione del punto di vista dell’altro, la consapevolezza delle differenze individuali e il collegamento da parte dei bimbi tra mondo interno non visibile e azioni manifeste. La ricerca suggerisce importanti risvolti per il futuro: “All’interno della scuola primaria tradizionalmente deputata all’insegnamento dei saperi curriculari, è possibile realizzare interventi che, oltre a potenziare le abilità socio-emotive, come la comprensione delle cause delle emozioni, l’empatia e l’aiuto nei confronti dell’altro, producono anche – spiega Veronica Ornaghi, assegnista di ricerca e una delle autrici dello studio – miglioramenti su capacità di tipo cognitivo”.

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