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Ricerca e sviluppo, investimenti in calo nel 2011

da | Dic 2011 | News | 0 commenti

L’Istat ha redatto un report sull’area della ricerca e sviluppo in Italia nell’ultimo biennio. I nuovi dati sul settore confermano come la situazione generale sia sostanzialmente negativa: si registra infatti un calo degli investimenti sia delle istituzioni pubbliche, che delle imprese, per il 2011. Il nostro Paese inoltre è molto indietro rispetto ai livelli del resto d’Europa. La spesa in ricerca è pari all’1,26 per cento del Prodotto interno lordo, contro il 2,01 per cento della media del vecchio continente.

Gli investimenti complessivi risultano ammontare a 19,2 miliardi di euro, un livello sostanzialmente invariato rispetto a quello del 2008. Il report dell’Istat ci dice anche che nel 2009 oltre metà della spesa per l’innovazione è stata sostenuta dalle imprese, con 10.238 miioni di euro, che rappresenta il 53,3 per cento del totale nazionale. Seguono le università con 5.812 milioni di euro (30,3 per cento) e le istituzioni pubbliche con 2.525 milioni di euro (13,1 per cento).

La persistente crisi economica penalizza le imprese, che sono costrette a ricorrere maggiormente al credito delle banche al fine di trovare risorse finanziarie per l’attività ordinaria, restringendo la spesa destinata alla ricerca. L’Istat fornisce anche i dati sulle aree economiche su cui si investe, con in testa l’elettronica, l’ottica e la fabbricazione di computer, seguita dall’industria automobilistica. Altri settori di investimento sono la fabbricazione di apparecchiature meccaniche, le telecomunicazioni e l’industria chimica e farmaceutica.

Significativo inoltre è poi il dato che la maggior parte della spesa sia polarizzata nel nord-ovest, con il 35,7 per cento del totale nazionale. Il 48,1 per cento degli investimenti risultano concentrati nei soli Piemonte, Lazio e Lombardia. Se gli investimenti calano, aumentano però i ricercatori. Il loro numero nel 2009 è aumentato del 5,3 per cento rispetto all’anno precedente. Quasi la meta di essi sono impiegati nel settore delle imprese. Tuttavia con il futuro restringimento della spesa le prospettive per loro in Italia sono sempre più cupe, e si rischia di giungere ad un ulteriore aumento di coloro che decidono di emigrare all’estero, amplificando il fenomeno della fuga dei cervelli.

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