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Ilaria Gervasoni (Università di Venezia): “Il sistema accademico italiano è arrugginito. Troppe chiusure e autoreferenzialità”

da | Mar 2015 | News | 0 commenti

“Un sistema autoreferenziale, ripiegato su se stesso e non aperto ai reali bisogni del Paese”. Questo è il mondo accademico italiano secondo Ilaria Gervasoni, rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia. Nell’intervista che ci ha concesso nell’ambito della nostra inchiesta sul futuro dell’università, la Gervasoni – coordinatrice dell’Unione degli studenti (UDU) della città lagunare e membro del Consiglio di amministrazione di Ca’ Foscari – ha sottolineato la distanza che divide gli atenei nostrani, universi chiusi governati da logiche di potere, dal resto del Paese e dalle sue esigenze.

La chiusura del sistema universitario si evidenzia, secondo Ilaria Gervasoni, in molti aspetti. “Spesso”, ci spiega la rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia, “sono state mantenute in vita strutture molto pesanti“, le quali sono sopravvissute ai primi anni di tagli orizzontali voluti dalla riforma Gelmini, grazie ai fondi di sicurezza che le università avevano accantonato, “dei tesoretti – dice la rappresentante – che adesso, però, sono terminati e non è più possibile garantire la sopravvivenza di queste strutture”. Del resto, gli stessi organi che dovrebbero tutelare gli atenei, come la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), sono giudicati autoreferenziali e in ritardo sui problemi. Proprio la CRUI è, secondo Ilaria Gervasoni, “un organo elefantiaco”, che non riesce ad essere rapido nel porre le questioni più importanti.

Tutto questo ha fatto sì che quello universitario diventasse in Italia “un sistema arrugginito” in cui, per via della riforma Gelmini, si sono create ulteriori disparità e “i forti sono diventati più forti a scapito dei deboli che si sono ulteriormente indeboliti”. Questo discorso, ci dice la rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia, non riguarda solo le differenze tra vari atenei, ma anche quelle tra diverse aree all’interno della stessa università. Senza guardare a criteri di qualità, si sono rafforzate le aree in cui c’è una maggiore concentrazione di potere, mentre si sono operati tagli su quelle meno “baronali”. Il tutto passando sulla testa degli studenti che, evidenzia Ilaria Gervasoni, “non hanno potere contrattuale”.

La rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia non dimentica, tuttavia, che tra i problemi più urgenti da affrontare ci sono anche il blocco del turnover, che sta impoverendo il capitale umano dei nostri atenei, e la carenza cronica di finanziamenti da destinare al diritto allo studio. A proposito di quest’ultimo punto, ci dice la Gervasoni, ci sarebbe un intervento più volte rimandato al quale dare finalmente priorità: un decreto per la revisione dei requisiti per l’ottenimento delle borse di studio, per renderli più in linea con la situazione attuale.

Ma non basterebbe riformulare i requisiti per garantire davvero il diritto allo studio. Dal punto di vista della rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia occorrerebbe anche investire sulle residenze universitarie, per favorire la mobilità degli studenti ed accentrare la didattica, superando le sedi distaccate, molto spesso create per ragioni che nulla hanno a che fare con il territorio o con reali esigenze della didattica. Basta “feudi personali e dispersione di risorse”, insomma. Se si deve decentrare deve essere solo per ragioni logiche.

La Gervasoni ci dice, inoltre, che una seria riforma dell’università dovrebbe rivedere anche la missione che a questa è affidata. Oggi, infatti, c’è troppo scollamento tra il sistema accademico e il mondo del lavoro. “Se la laurea non funge più da ascensore sociale”, sottolinea la rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia, “è anche per via di questa distanza e del fatto che gli atenei non si sono fatti carico di garantire ai cittadini quel Long Life Learning sul quale punta l’Unione Europea”. Le università “dovrebbero uscire dalla logica del master e assolvere al compito fondamentale di formare e aggiornare le competenze dei cittadini del Paese, lavorando per il reinserimento professionale di quanti sono stati espulsi dal mondo del lavoro e hanno un’età nella quale è molto difficile rientrarci”. Il tutto, ovviamente, dovrebbe essere appositamente normato.

Il gap tra atenei e Paese si riflette anche sulla questione del numero chiuso, adottato troppo spesso – dice la rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia – non per reali esigenze di programmazione, ma solo per la sproporzione tra docenti e studenti. Con l’adozione del sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica, Accreditamento), infatti, molti corsi avrebbero perso i requisiti o non si sarebbero potuti creare, per mancanza di un corpo docente adeguato nei numeri. In mancanza di risorse per assumere nuovi professori la soluzione, allora, è stata bloccare l’accesso degli studenti.

Tuttavia, per Ilaria Gervasoni, il rimedio non è adottare – come caldeggiato dal ministro Giannini – il modello francese, che sposta solo un anno più in là il problema. Occorrerebbe, invece, investire sull’orientamento e scardinare quei cliché culturali che dipingono alcune professioni come ideali per l’elevato livello di impiegabilità e di guadagno. Un serio orientamento alle superiori permetterebbe, conclude la rappresentante degli studenti dell’Università di Venezia, di “spingere ciascuno a seguire la propria naturale vocazione, aiutando anche a combattere la dispersione universitaria”.

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