Vengono dalla Cina, dall’Ecuador, dall’Iran, dalla Mongolia e dal Perù, costituiscono il 9 per cento degli iscritti nel 2010 e un terzo dei beneficiari delle borse di studio e servizi per il diritto allo studio. Sono gli studenti stranieri che frequentano l’Università di Genova e che d’ora in poi non avranno più sconti su una materia fondamentale: l’italiano.
Il Senato accademico ha istituito infatti, per la prima volta in Italia, un test di italiano obbligatorio, insieme alla “Scuola di lingua e di cultura italiana”, che sarà diretta dal professor Francesco De Nicola e avrà base logistica presso la facoltà di Lingue. Tre possibilità per superare l’idoneità linguistica durante il primo anno. Una prima sessione a settembre, la seconda a febbraio e infine in estate l’ultima chance, dopodiché il piano di studi sarà bloccato e lo studente non potrà sostenere gli esami del secondo anno. Un vero esame di sbarramento.
La prova, identica per tutte le facoltà, prevede una conoscenza linguistica di livello B2, ovvero “intermedia” con la capacità di comprendere e scrivere testi articolati e di esprimersi con scioltezza, e sarà indicata dalla Crui, la Conferenza dei rettori. Gli studenti “ripetenti” avranno l’obbligo di seguire corsi intensivi di 40, 80 0 120 ore, tenuti proprio dalla neonata scuola di ateneo.
“Le iscrizioni di allievi stranieri sono in continua crescita – spiega il rettore Giacomo Deferrari – era necessario organizzare una struttura che provvedesse alle loro esigenze”. L’idea nasce dunque per fronteggiare le difficoltà linguistiche di molti studenti stranieri, spesso impreparati anche a sostenere una semplice conversazione in italiano. “La Scuola – sostiene il direttore De Nicola – aiuterà un processo di più veloce e completa integrazione in città”.
Ma nel mirino ci sono anche le borse di studio: secondo De Nicola un terzo di chi accede ai servizi dell’Arssu è uno studente straniero, ma spesso proprio a causa delle barriere linguistiche, in molti abbandonano gli studi, vanificando il sostegno concesso dall’Università e dalla Regione. Se però sull’utilità della scuola sono tutti d’accordo, sul blocco del piano di studi qualcuno mugugna. E se si facesse tutti lezione in inglese?