università di Trieste, Genefinity spin-off dai biosensori ai tattoo
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All’università di Trieste lo spin-off ‘dorato’ dai biosensori ai tattoo

da | Mag 2011 | News | 0 commenti

Tre brevetti, una decina di addetti, 300.000 euro di fatturato e una schiera di premi, messi in fila in un piccolo spazio di ricerca e produzione all’interno dell’Università di Trieste. Parliamo di Genefinity, uno spin-off ad alto tasso di innovazione e a basso “quoziente” generazionale. Hanno infatti un’età compresa tra i 30 e 40 anni i soci di questa avventura nata 5 anni fa da un progetto Start Cup, ancora più giovani i dottorandi e i collaboratori che vi prendono parte. Una storia “dorata” che deve la sua fortuna ad un innovativo procedimento per il fissaggio di film sottili in oro zecchino. Ce la racconta Francesca Antoniolli, tra i fondatori di questo esperimento di successo.

Galeotta fu Start Cup, dunque?
In realtà tutto è iniziato prima di Start Cup, nel 2005, da un piccolo gruppo di ricerca nel settore delle biotecnologie: sperimentavamo un sistema di analisi genetica a basso costo. Da qui, quasi per gioco, abbiamo partecipato a Start Cup: fino a quel momento la maggior parte del nostro gruppo, composto da ingegneri dei materiali, si era dedicato alla ricerca pura, non mi ero mai misurata con un piano industriale. Ma la nostra idea ha vinto la fase locale e si è classificata sesta a livello nazionale. Un riconoscimento che ci ha dato fiducia nella bontà del progetto e che è stato un ottimo biglietto da visita al momento di bussare alla porta degli investitori.

E così nacque lo spin-off, che è partecipato dall’Università in questo caso. Una sinergia tra accademia e impresa: quali sono i vantaggi per l’una e per l’altra?
Sicuramente per noi è vantaggioso poter lavorare all’interno dell’università, stipulando contratti per l’utilizzo delle attrezzature e della strumentazione, che noi stessi sappiamo e possiamo usare direttamente. Alcuni di noi, inoltre, lavorano per l’università, sono ricercatori o assegnisti e hanno quindi un contatto diretto con gli studenti: sembra incredibile ma proprio il fatto di poter intercettare già a lezione oppure durante un progetto di tesi i migliori “cervelli” da trattenere in azienda mi sembra il vantaggio più grande.

E per l’ateneo, quali sono le ricadute?
In questo momento stiamo finanziando due borse di dottorato: giovani ricercatori dell’Università che qui trovano un’azienda dentro l’ateneo, a propria disposizione, dai materiali al personale che li segue. Lo stesso vale per tesisti e studenti, la presenza di spin-off universitari è in primo luogo una ricchezza per l’offerta formativa dell’ateneo: avere l’opportunità di entrare a contatto con il mondo dell’impresa e con la ricerca applicata già all’interno delle mura dell’università può fare la differenza quando si tratta di scegliere una facoltà. Ma soprattutto, si parla tanto di fuga dei cervelli, questo è uno dei modi per trattenere sul territorio in modo produttivo competenze che altrimenti volerebbero altrove. Un esempio positivo di come l’ingresso di fondi privati nel mondo accademico possa approdare ad esiti virtuosi.

Ma qual è l’idea alla base di tutto questo?
Gold Sin, tatuaggi in oro nati dalla ricercaAlla base di tutto c’è una tecnologia speciale che consente la realizzazione di film sottili. Un procedimento che abbiamo messo a punto inizialmente per un kit di analisi genetica, in ambito cardiologico, poi ci siamo resi conto che lo stesso tipo di tecnologia poteva avere numerissime applicazioni tanto da ritrovarci oggi a seguire due filoni di prodotto apparentemente lontanissimi: quello dei biosensori e quello dei tatuaggi non permanenti.

Secondo i dati più recenti, oltre l’80 per cento degli spin-off italiani è approdato ormai ad un vero e proprio prodotto pronto per il mercato. Qual è il vostro “grado di maturazione” a 5 anni dalla partenza?
Stiamo lanciando ora i nostri prodotti sul mercato e avviando una produzione industriale, anche se negli anni precedenti abbiamo comunque creato piccole produzioni accanto all’attività di consulenza.

Il vostro team stranamente non è multidisciplinare come uno si aspetterebbe, come è stato per un manipolo di ingegneri confrontarsi con l’intera fase di sviluppo di un prodotto e la sua messa in commercio?
Effettivamente in un primo periodo ci siamo concentrati prevalentemente sulla ricerca, pensando che un buon prodotto potesse vendersi da solo. Poi abbiamo capito che così non era e ognuno si è specializzato in un suo ambito: io, ad esempio, seguo il marketing, qualcun altro il bilancio, un altro ancora si occupa di clienti e contratti. Abbiamo imparato a conoscere i nostri mercati.

E a riconoscere i competitor?
Sì, per i tatuaggi in oro, l’unico competitor noto è a Dubai, ma si tratta di una bottega artigianale che non può riproporre il prodotto su scala industriale e a prezzi competitivi. Per i biosensori guardiamo a Israele, ma soprattutto alla Silicon Valley dove si concentrano la maggior parte delle aziende del settore e in un futuro abbiamo in programma di sbarcare proprio lì con un’azienda concentrata sulla produzione di biosensori.

Uno scenario che parla abbastanza chiaro: il vostro è un primato tecnologico italiano ed europeo, e a sancirlo abbiamo anche numerosi premi.
In effetti abbiamo ricevuto diversi riconoscimenti negli ultimi anni: il premio Start Cup dell’anno nel 2010, mentre il 14 giugno prossimo ritireremo direttamente dalle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il Premio dei Premi per l’innovazione, nell’ambito dell’Università e della ricerca pubblica.

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