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L’Università non è un supermarket, e il
3+2 va rivisto. A ricordarlo in una mini intervista uscita questa mattina sul
Corriere della Sera è
Enrico Decleva, Presidente Crui e rettore della Statale di Milano. Nelle aule non ci sono scaffali con barattoli pieni di successo, e l’obiettivo di uno studente non dev’essere quello di uscire dall’Università il prima possibile “con il carrello pieno”.
Una provocazione, quella del presidente Crui, non del tutto inopportuna considerando l’immagine che il sistema universitario ha assunto soprattutto nel dibattito sulla crisi economica dove si parla di atenei e ricerca solo nell’ottica della produttività di mercato.
Ma il sistema del tutto e subito, con l’università non ha funzionato, ricorda Decleva riferendosi al sistema del 3+2, che a più di dieci anni dalla sua introduzione sta ricevendo critiche da tutte le parti (la prima a farlo ufficialmente è stata la
Corte dei Conti). E se molte volte gli studenti considerano il diploma di laurea triennale allo stesso modo del vecchio diploma, in realtà non è così.
La soluzione, secondo Decleva, sarebbe quella di introdurre nuove tipologie di percorsi di studio, perché no anche corsi a ciclo unico. Nessuna rivoluzione, insomma, ma il 3+2 va rivisto.
Alla faccia del supermarket.
Io mi devo fare 24 esami per una laurea in scienze giuridiche!
Forse l’ errore che si fa è considerare l’ università come unico luogo di formazione di livello superiore.
Ad esempio per le imprese si potrebbe prevedere un sistema di formazione parallelo alle università, diverso da esse.
Mi spiego: le scuole superiori funzionano abbastanza bene, allora invece di 5 anni si potrebbero prevedere dei percorsi di scuole superiori orientate al mercato, che prevedano un 5+3.
Penso ad esempio agli indirizzi tecnici, potrebbero diventare 5+3,
cioè non dei semplici diplomati, ma diplomati qualificati orientati al mercato e alle aziende che richiedono una formazione superiore al consueto diploma da perito.
Ovviamente con regolare riconoscimento degli anni di studio che diventano più dei normali 5 anni.
Così le università potrebbero continuare a fare quello che fanno, e allo stesso tempo si darebbe risposta al mercato del lavoro, e ad esigenze non propriamente canoniche da parte degli studenti.
Ada, hai praticamente descritto il sistema tedesco.