Classifiche migliori università: i punti deboli degli atenei italiani
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Classifiche delle migliori università: ecco i punti deboli degli atenei italiani

da | Lug 2014 | News | 0 commenti

Tempo di classifiche delle migliori università: una tradizione anglosassone che si è ormai affermata anche da noi. Ma, nonostante secoli di storia, gli atenei italiani faticano parecchio a reggere il confronto con le altre realtà europee e sono lontanissimi da quelle USA. Quali sono i loro punti deboli, responsabili di così scarse performance nei ranking internazionali?

Sono sempre più le fonti di classifiche dei migliori atenei internazionali. Diverse, eppure con un dato poco confortante in comune: i posizionamenti non proprio onorevoli delle università italiane. A dominare nelle graduatorie sono USA e Gran Bretagna, i Paesi asiatici sono in ascesa e l’Italia rimane ben distanziata anche da Francia e Germania.

A penalizzare gli atenei italiani nelle classifiche internazionali ci sono alcuni punti deboli intrinseci alla natura stessa delle classifiche, spesso condotte con criteri prettamente anglosassoni. Quelli, insomma, di stampo aziendale, che tendono a non premiare la tradizione umanistica. Ma il momento difficile delle università di casa nostra è innegabile, con atenei sempre più costretti a fare i conti con la crisi e i continui tagli dei finanziamenti statali.

Nonostante gli sforzi, i tassi di ricerca e internazionalizzazione stentano a decollare, e si mantenono ben lontani da quelli degli USA, ma anche di Gran Bretagna, Francia e Germania, che investono molto nell’ospitare prestigiosi docenti stranieri. E anche da quelli della Cina, che offre sempre più corsi in inglese. L’Italia rimane, così, indietro nelle classifiche delle migliori università. Basti pensare al World University Ranking 2014 di Times Higher Education, che vede sul podio California Institute of Technology, Oxford e Harvard, e in cui la prima tra le italiane è l’università di Trento, ben 221esima.

Eppure, nonostante i punti deboli, alcune eccezioni virtuose ci sono. A brillare nei più recenti ranking, per esempio, la Bocconi, ottava nella classifica dei migliori corsi di Finanza stilata dal prestigioso Financial Times. Merito della laurea specialistica in inglese in Finance, che è valsa all’ateneo milanese una scalata di 19 posizioni dalla 27esima che occupava nel 2012 grazie agli impressionanti tassi di occupazione dei laureati. Che trovano tutti lavoro entro tre mesi.

La ricetta per invertire la rotta? I campi in cui le nostre università dovranno investire, se vorranno eliminare i propri punti deboli ed essere in grado di sostenere il confronto con le realtà internazionali, sono quelli inerenti ai criteri di valutazione dei principali ranking mondiali: i pareri degli ex studenti, la provenienza di studenti e docenti, lo stipendio dei laureati, la mobilità internazionale, la notorietà all’estero. Uno sforzo non da poco per un sistema in crisi finanziaria.

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