Presto una 'pillola della compassione' per aumentare l'empatia
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Arriva la ‘pillola della compassione’, aumenterà l’empatia degli individui

da | Mar 2015 | News | 0 commenti

La University of California di Berkeley e di quella San Francisco stanno sperimentando un farmaco che potrebbe essere capace di rendere tutti più buoni ed equi. Si tratta di una ‘pillola della compassione’, in grado di aumentare il grado di empatia di chi l’assume attraverso il prolungamento dell’effetto della dopamina, un neurotrasmettitore naturalmente prodotto nel nostro cervello. La dopamina svolge numerose funzioni e ha un ruolo anche nel meccanismo del piacere e in quello della ricompensa.

Ad annunciare al mondo che le due università stanno sperimentando la pillola della compassione è stato un articolo sulla rivista Current Biology. La pillola è a base di tolcapone, sostanza che produce l’effetto di modificare l’equilibrio neurochimico nella corteccia prefrontale, l’area del cervello responsabile della personalità, della capacità decisionale e del comportamento sociale.

La pillola della compassione per il momento è stata testata su 35 soggetti – 18 donne e 17 uomini – suddivisi in due gruppi: al primo i ricercatori hanno somministrato il farmaco, al secondo solo un placebo. Poi è stato chiesto ai volontari di partecipare a un gioco che prevedeva la spartizione di una somma di denaro con un destinatario anonimo. Chi ha assunto la pillola della compassione ha ripartito le somme in maniera più equa rispetto a chi ha preso il placebo, dimostrando così maggior capacità di immedesimarsi nei sentimenti e nei bisogni di un’altra persona.

“Di solito pensiamo che l’equanimità sia una caratteristica stabile, che faccia parte della personalità“, ha commentato Ming Hsu, uno degli autori dello studio, ma – sebbene il lavoro svolto non rifiuti questo concetto – mostra anche “che questo tratto può essere influenzato sistematicamente mirando a specifiche vie neurochimiche nel cervello umano”.

La sperimentazione della pillola della compassione proseguirà su più larga scala, per verificarne meglio gli effetti benefici e quelli (eventuali) collaterali. La convinzione degli studiosi è che essa potrà aiutare a trattare diverse malattie mentali, tra cui la schizofrenia, e le dipendenze.

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