La lettera dei talenti fuggiti all'estero a Napolitano
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“Ecco perché siamo fuggiti”, giovani talenti scrivono a Napolitano

da | Dic 2009 | News | 1 commento

fuga talenti lettera

“L’Italia è il Paese più immobile d’Europa”, ecco il motivo della fuga dei talenti all’estero. A scriverlo in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Napolitano e ai Presidenti Ciampi, Scalfaro e Cossiga, sedici giovani italiani espatriati dopo gli studi.

Dopo il dibattito aperto dalla lettera di Celli, stavolta a parlare sono i diretti interessati. I firmatari dell’appello, tutti tra i 28 e i 40 anni, tutti con percorsi di studio elevati, chiedono ai Presidenti di impegnarsi a rendere l’Italia un Paese in cui i giovani possano vivere ed affermarsi “solamente sulla base del proprio merito“.

Più che una missiva tradizionale, quella dei sedici giovani è una raccolta di testimonianze. Nella lettera, diffusa agli organi di stampa questa mattina, si leggono infatti le motivazioni di ognuno a non tornare. Tra le ragioni principali una percezione comune, quella di un’Italia che non è in grado di investire sulle eccellenze e di garantire un futuro dopo gli studi universitari.

“Questi anni di soggiorno “obbligato” all’estero sono stati decisivi per comprendere che il valore della meritocrazia non è più rispettato in un Paese come il nostro”, scrive Luca, ricercatore, 28 anni, Spagna. “Non torno, perché a Londra il mio dottorato è valorizzato in azienda, e non solo in università” scrive invece Francesco, consulente, 33 anni, Gran Bretagna.

La lettera dei talenti fuggiti – indirizzata anche al Presidente del Senato Schifani, al Presidente della Camera Fini, e al Ministro della Gioventù Meloni – si conclude però con delle proposte di cambiamento.

Tanti i consigli dei giovani espatriati alle alte cariche dello Stato. Un sistema basato su merito, trasparenza e giustizia. Un Paese che investa sui giovani per crescere, considerandoli “un asset strategico e non manodopera a basso costo”. Un Paese che offra opportunità e un futuro a laureati e dottorati. Un’ Università che sia un sistema aperto e che tratti la ricerca, scientifica e umanistica, “come una cosa seria”.

La speranza? Quella di “immaginare un futuro meno nomade per i giovani talenti italiani”.

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Giorgio Mamolo
Giorgio Mamolo
14 anni fa

A mio giudizio, la lettera di Pier Luigi Celli è una disamina obiettiva, anche se amara, della situazione in cui versa oggi il nostro Paese.
Nello stesso tempo costituisce un atto di accusa nei confronti di coloro, che sono perfettamente individuabili, i quali, con le loro prediche e le loro azioni, sono certamente i responsabili di questo italico sfacelo.
Che sono poi gli stessi, che osteggiano in tutti i modi, per mero interesse di bottega, coloro che si impegnano per migliorare questa nostra povera Italia.
Anni addietro avevo sperato che, con l’avvento dell’Europa unita, le cose avrebbero potuto andare meglio anche da noi; ma oggi mi devo ricredere: se è possibile, mi sembra che siano addirittura peggiorate.
Di quattro fratelli, io sono l’unico che è rimasto in Italia: gli altri tre sono emigrati negli Stati Uniti e hanno fatto una discreta fortuna.
Vivono agiatamente, ogni anno si concedono una vacanza in Europa ed altre alle Hawaii e sulla neve, i loro figli hanno tutti un lavoro e vivono tutti in ville unifamigliari.
Io me la sono cavata abbastanza bene anche quì: sono stato fortunato di aver incontrato sulla mia strada persone che privilegiavano il merito alle raccomandazioni (erano gli anni 50) ed ho ottenuto un buon impiego e fatto una discreta carriera. Ma non ho mai avuto le stesse possibilità economiche dei miei fratelli, anche se non me ne sono mai lamentato e mi sono sempre accontentato di ciò che avevo.
Ora sono un pensionato ultrasettantenne e con la mia pensione, che diventa ogni giorno che passa più magra (specialmente dopo il dimezzamento del potere d’acquisto dovuto all’euro), sono costretto a dare una mano alle mie tre figlie (due con lavoro precario ed una disoccupata) ed ai miei cinque nipoti, ancora minorenni.
Dobbiamo tutti fare dei sacrifici notevoli, ma la cosa non mi spaventa; ciò che mi preoccupa seriamente è il pensiero di quale futuro potranno avere in questo Paese i miei nipoti.
E mi sorge un dubbio: non avrei fatto meglio a seguire la strada dei miei fratelli ?