Intervista a Matteo Andreozzi - Il filosofo, una specie a rischio?
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Il filosofo, una specie a rischio? Intervista a Matteo Andreozzi

da | Mag 2010 | News | 2 commenti

intervista matteo andreozzi


Una laurea in filosofia non gode del massimo della considerazione in un Paese come il nostro, dove si fanno sempre più scarse le possibilità di una coerenza tra il percorso di studi e il percorso di vita successivo, o esterno, all’Università.
Eppure di studenti di filosofia in Italia ce ne sono, e tanti. Ma che significato può avere oggi, per un giovane, studiare filosofia? Lo abbiamo chiesto a Matteo Andreozzi, filosofo, ora studente al Collegio di Milano, uno dei 14 collegi d’eccellenza riconosciuti dal Miur. Nell’intervista che segue ci racconta l’esperienza del Progetto Filosofi, che lo ha visto protagonista insieme ad altri giovani studenti di Milano, un contributo importante all’interno del panorama universitario italiano.

Raccontaci come nasce il Progetto Filosofi e in cosa consiste.
Il Progetto Filosofi nasce ufficiosamente nel 2005, quando tra alcuni giovani studenti e studentesse di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano inizia a instaurarsi un forte legame di amicizia e stima. Ufficialmente e operativamente, però, il gruppo ha iniziato ad avere degli obiettivi, delle scadenze ed una costante organizzazione a partire dal 2008, anno in cui la maggior parte di noi ha superato i test di ammissione per entrare al Collegio di Milano. Non molti conoscono il Collegio, ma si tratta di uno dei 14 centri di studio d’eccellenza riconosciuti dal Miur: senza il suo supporto non saremmo mai arrivati da nessuna parte. All’interno del Collegio abbiamo infatti potuto iniziare a dedicarci con metodo all’approfondimento dei temi su cui avremmo voluto saperne di più: la condizione dell’istruzione universitaria in generale e quella specifica dell’insegnamento, dell’apprendimento e della reale utilità dello studio della filosofia oggi. Su questi due fronti il Progetto Filosofi si è posto quattro saldi obiettivi: raggiungere uno stato di informazione avanzato sulle due tematiche, scrivere in modo interattivo e con un linguaggio sempre accessibile un testo che racchiudesse queste informazioni, cercare di diffondere i risultati raggiunti al mondo degli studenti, dei professori e dei professionisti dei settori interessati, ed organizzare iniziative culturali e di sensibilizzazione studentesca. Purtroppo una delle difficoltà di essere un gruppo autonomo e svincolato da ogni partito o ideologia ci ha impedito, almeno finora, di raggiungere anche il quarto obiettivo, ma per i primi tre ce l’abbiamo fatta, e direi anche che possiamo ritenerci molto più che soddisfatti del percorso compiuto.
Nel 2009 avete scritto alla Gelmini sulla Riforma dell’Università e poi avete vinto un premio con un e-book scaricabile gratuitamente online, com’è andata esattamente?
Come ti dicevo, il Progetto Filosofi ha fin dall’inizio seguito due strade distaccate: una rivolta al mondo universitario e una a quello dello studio e dell’insegnamento della filosofia. La prima ricerca, che è stata anche la prima ad essere condotta, è stata denominata Facoltà di Proporre. “FdP” è anche il diminutivo con cui è chiamata comunemente la sede dell’Università degli Studi di Milano di via Festa del Perdono, in cui quasi tutti i membri si sono originariamente conosciut). Nel confuso e acceso clima di dibattito e scontro nato in seguito alle scelte fatte dal Governo nel 2008 in materia di Scuola e Università, abbiamo sentito la necessità di comprendere meglio la situazione, che ci coinvolgeva tutti, proprio in quanto studenti. Ne è nato un e-book di quattrocento pagine scritte a più mani e contenenti venti proposte di riforma universitaria avanzate dall’intero gruppo. Abbiamo contattato il Miur – dove il ministro Gelmini stava proprio in quel periodo dichiarandosi aperto al dialogo con studenti preparati sulla questione – per avanzare le nostre proposte, e parallelamente le abbiamo utilizzate anche per partecipare a un Concorso Nazionale intitolato “I giovani nella vita pubblica del Paese”. Il concorso lo abbiamo vinto e la vittoria ci è valsa persino la pubblicazione di una versione riassuntiva del nostro lavoro, mentre con il Miur le cose sono andate in un modo po’ meno appagante. È venuto a trovarci un consigliere del ministro, il quale ci ha ascoltato, ha raccolto le quattrocento pagine di ricerca, le venti proposte, una lettera di apertura al dialogo rivolta a Mariastella Gelmini, e ha promesso di farci avere un feedback dopo qualche tempo. Da allora (2008) abbiamo provato a ricontattarlo più volte, ma senza mai alcuna risposta. Poco dopo la vittoria del concorso il ministro Gelmini ci ha però ricontattato offrendoci un’intervista via mail. Nonostante fossimo riusciti a preparare, non senza fatica, delle belle domande, tutte le risposte che abbiamo ricevuto sono però state sommarie o elusive, come ormai da prassi, in politica. Sia ben chiaro che siamo tutti personalmente molto soddisfatti del risultato raggiunto: il fatto è che se dovessi proporre una “morale della favola” direi però che abbiamo anche tutti imparato che, nonostante il sistema meritocratico abbia dimostrato la sua apertura a premiare lo sforzo di un gruppo di persone seriamente motivate, è forse bene stare attenti a non scambiare un tale riconoscimento con il merito di avere realmente contribuito alla “vita pubblica” del proprio Paese.
Insieme agli studenti del Progetto Filosofi state scrivendo un vero e proprio libro che si chiama “Come salvare i filosofi dalla filosofia”, di cosa parlate?
Sì, questo è il progetto editoriale da cui tutto è partito, ma ci sono voluti quasi due anni, e l’esperienza di FdP, per capire come sarebbe stato possibile concretizzarlo in una ricerca esaustiva. Il principale scopo di questo libro è quello di analizzare l’utilità dell’insegnamento e dell’apprendimento della filosofia, confrontando i contenuti e la forma dell’istruzione universitaria con le competenze richieste dai diversi settori lavorativi. Abbiamo dunque tutti cercato di riflettere sullo stato della filosofia insegnata in accademia e su quella poi effettivamente applicata nel mondo del lavoro. La nostra speranza è che i nostri futuri lettori, principalmente studenti universitari, possano apprezzare questo esperimento volto a proporre percorsi di analisi e riflessione sulla pratica della filosofia, sull’insegnamento della disciplina e sulla sua utilità. Sentieri in grado, secondo noi, sia di aiutare a comprendere il desiderio di studiare filosofia, sia di fornire alcuni spunti sui possibili percorsi lavorativi da seguire dopo la carriera accademica e sulle nuove sfide della filosofia in generale. Il libro – che sarà pubblicato probabilmente a inizio 2011 – non si riduce quindi a un semplice esercizio teoretico, ma si pone, al contrario, il preciso fine di colmare una mancanza avvertita ancora oggi da noi studenti di filosofia all’interno del panorama editoriale contemporaneo. L’intento sarà dunque quello di fornire indicazioni utili a quanti vogliano, o debbano prima o poi, porsi le stesse domande che fondamentalmente ci siamo dovuti porre anche noi stessi autori.
Ma, secondo la tua personale esperienza, che significato può avere oggi per un giovane studiare filosofia?
Personalmente sono convinto che al di là dei molteplici possibili significati che potrebbe assumere oggi, a livello personale, lo studio della filosofia, il più grosso problema è che tutti questi prima o poi si devono confrontare, e spesso scontrare, con il significato che la società e il contesto culturale danno all’essere “laureati in filosofia”. Il panorama italiano, purtroppo, rimane inoltre tra quelli meno in grado di lasciare sperare in una possibile felice risoluzione di questo problema. Di recente, ad esempio, l’Istat ha diffuso dei dati secondo cui solo quattro umanisti su dieci finiscono per fare un lavoro per cui è necessario avere la laurea. Ciò che bisognerebbe forse fare sarebbe però vedere anche quanti di questi quattro fanno un lavoro per il quale è esplicitamente richiesta una laurea di stampo umanistico, come quella in filosofia: temo infatti che si avrebbero dati ancora più sconfortanti. In definitiva quindi, oggi, lo studio della filosofia, almeno in Italia, deve a mio avviso appoggiarsi soprattutto su motivazioni individuali: sono questi infatti gli unici significati che, se approcciati con determinazione e costanza, possono aiutare ad evitare, o risolvere, ogni possibile frustrazione che potrebbe derivare dall’ingresso nel mondo lavorativo contemporaneo. La filosofia non sembra quindi in grado di aiutare un giovane studente in cerca di certezze sul proprio futuro: il migliore modo di approcciare lo studio di questa materia è forse pensare “non so cosa mi porterà a fare, ma so che mi aiuterà a farla bene”.
Matteo Andreozzi, Milano 1979, si è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano ed è divenuto studente del Collegio di Milano. Titolare della cattedra di Filosofia presso un liceo milanese, nonché direttore della rubrica online La Voce degli Studenti, tra il 2008 e il 2010 è stato promotore e coordinatore dei progetti Facoltà di Proporre e Come salvare i filosofi dalla filosofia (all’interno dell’iniziativa “Progetto Filosofi“). Negli stessi anni, oltre ad avere vinto il primo premio del 49° Concorso Nazionale “I giovani nella vita pubblica del Paese”, ha ricevuto una menzione speciale della giuria al 1° Concorso Nazionale “Darwin: passato e futuro”.
Intervista a cura di Claudia Bruno

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nicola
nicola
13 anni fa

che emozione! fiero e compiaciuto per gli ottimi risultati.

Andrea
Andrea
13 anni fa

Laureato magistrale in scienze filosofiche presso la stessa fdp esprime forte dissenso e rammarico per una ricerca, che si direbbe approfondita, sulle varie utilità della filosofia. Lavoro nell’informatica e studio per la seconda laurea in economia, ed ancora oggi, quando a 25 anni si possiede uno stipendio più alto dei coetanei economisti ed ingegneri, mi chiedo “è utile l’utilità?”
Dopo 5 anni posso davvero dire che non ho mai visto fare così male filosofia quanto in Italia, piena di palloni gonfiati. Sono tutti impegnati a scrivere invece che a pensare, ne avrebbe ben da dire platone. è una situazione intollerabile, spero vengano tolti i finanziamenti a questo genere di iniziative, null’altro che ragioni per altri licenziati di non considerare il campo della filosofia come uno dei ruoli chiave del contemporaneo.
Saluti