L'inganno fa stare bene e non dà senso di colpa. Lo rivela una ricerca
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Una ricerca americana rivela: “L’inganno non crea alcun senso di colpa, ma ci fa stare bene”

da | Ott 2013 | News | 0 commenti

Altro che senso di colpa. Contrariamente a quanto si possa immaginare, secondo una ricerca americana – firmata da studiosi delle università di Washington, della Pennsylvania, di Harvard e della London Business School e pubblicata sul Journal of Personality and Social psychology – la tendenza all’inganno darebbe soddisfazione e, quindi, ci farebbe stare bene. Una scoperta che senz’altro stupisce e per certi versi lascia perplessi, ma che spiegherebbe perché a volte si prova compiacimento nel ripetere certe azioni disdicevoli.

Nel dettaglio, la ricerca americana spiega che il senso di soddisfazione che si prova nel vivere nell’inganno è legato alla convinzione di non fare male e arrecare danno – almeno apparentemente – a nessuno. Inoltre, sarebbe l’istinto a renderci truffaldini, perché il cosiddetto furbetto avrebbe addosso un senso di superiorità che lo porterebbe a sentirsi davvero migliore rispetto agli altri, oltre che più intelligente. Nessun senso di colpa, quindi, attanaglierebbe chi agisce con finalità poco nobili, ma sarebbe la sua stessa natura a renderlo proteso verso l’inganno.

Il New York Times, però, ha manifestato non poco stupore rispetto alla ricerca. Le perplessità del quotidiano sono dovute essenzialmente a due motivi: primo, mai nessuno studio precedente ha rivelato che comportarsi in maniera ingannevole fa stare bene; secondo, il pensare di agire contro ogni forma etica non fa parte del canone americano, specialmente di quello relativo alla condotta pubblica. Non che altrove ciò rientri tra le cose giuste da compiere, ma probabilmente in Italia – per fare solo un esempio – non ci sarebbe tanto scalpore e l’esito di tale studio andrebbe solo a ufficializzare un malcostume già ben radicato.

Secondo gli studiosi un freno per i furbetti potrebbe essere costituito dalla reale consapevolezza dei costi derivanti dalle loro azioni illecite e dei danni arrecati. Ad esempio, chi si macchia del reato di pirateria informatica forse non sa che – in base ai dati forniti sempre dal New York Times – sono sessantatré i miliardi di dollari che così verrebbero sottratti alle aziende di software. Un altro modo per ridimensionare certi comportamenti disdicevoli potrebbe essere togliere fascino e valore alla truffa stessa.

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