Classifica delle lauree inutili: AlmaLaurea invita alla prudenza
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Classifica delle lauree “inutili”, c’è da crederci? AlmaLaurea invita alla prudenza

da | Set 2014 | News | 0 commenti

Da giorni impazza sul web una classifica delle lauree “inutili”, stilata sulla base dei dati emersi dall’ultima indagine AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani. Ma proprio il consorzio interuniversitario invita a riflettere e considerare la graduatoria con prudenza. La classifica mette in fila le lauree che offrono meno opportunità e presentano la percentuale maggiore di disoccupati, e potrebbe scoraggiare qualcuno dal perseguire le proprie inclinazioni, cosa che – avverte AlmaLaurea – può compromettere la realizzazione personale.

La classifica delle lauree inutili riserva alcune sorprese. Al primo posto c’è Giurisprudenza, uno dei percorsi di studio più gettonati e ritenuti – almeno fino a qualche tempo fa – con maggiori sbocchi professionali, che invece conta un tasso di disoccupazione dei propri laureati dopo un anno dal conseguimento del titolo pari al 24 per cento. Seconda in graduatoria è Psicologia, con una percentuale di senza lavoro che si attesta al 18 per cento, mentre al terzo posto finisce Lettere, che ha 15 laureati su 100 privi di impiego. Nelle prime cinque della classifica delle lauree più inutili ci sono anche Scienze sociali (14,3 per cento i disoccupati) e Lingue (intorno al 13 per cento).

Per trovare livelli occupazionali davvero alti occorre guardare alle lauree a numero programmato a livello nazionale – Medicina, Odontoiatria, Farmacia, Professioni sanitarie – oppure a quelle considerate più “forti”, come Ingegneria ed Economia.

Tuttavia, la classifica delle lauree più inutili va maneggiata con attenzione. Come ha specificato il consorzio AlmaLaurea in una nota pubblicata a seguito del clamore mediatico suscitato dalla graduatoria, essa non tiene conto di alcuni importanti fattori. In primo luogo, essa si basa sui dati relativi ai livelli occupazionali a un anno dalla laurea, ma si tratta di dati molto parziali per giudicare effettivamente l’utilità di un determinato percorso di studi. In questo senso, sarebbe più giusto prendere in esami quelli relativi a cinque anni dopo la conclusione degli studi.

In secondo luogo, sottolinea il consorzio, per una valutazione vera sarebbe “opportuno considerare i diversi aspetti che misurano la qualità dell’inserimento occupazionale (retribuzione, tasso di occupazione e di disoccupazione, utilizzo delle competenze), incluso il grado di soddisfazione“, perché un fattore molto importante nella vita di ciascuno è anche il livello percepito di realizzazione personale. AlmaLaurea, insomma, suggerisce di seguire comunque le proprie inclinazioni.

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