Aumenta il precariato tra i ricercatori: stabilizzato solo 1 su 100
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Ricercatori sempre più precari: solo 1 su 100 ha la speranza di venire stabilizzato

da | Nov 2014 | News | 0 commenti

Il precariato tra i ricercatori aumenta, al punto che solo uno su cento può sperare di essere prima o poi stabilizzato. Per tutti gli altri, invece, la prospettiva è un contratto a termine e poi, molto spesso, la fuga verso paesi nei quali poter finalmente arrivare al tempo indeterminato. A denunciare la situazione è l’Associazione dei precari della ricerca (Arpi).

L’Arpi è partita dall’analisi dei dati del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR), tracciando il quadro impietoso del precariato nel nostro Paese. In Italia ci sono attualmente 2.450 ricercatori a tempo determinato di tipo A, ossia con contratti triennali eventualmente prorogabili per due ulteriori anni, al termine dei quali le porte degli atenei si chiudono definitivamente. Gli assegni di ricerca, invece, coinvolgono 15.237 persone, che lavorano per le università senza alcuna speranza di ottenere prima o poi una stabilizzazione.

A fronte di questi 17.687 ricercatori condannati al precariato, ce ne sono solo 224 che hanno contratti a tempo determinato di tipo B, cioè quei contratti triennali che consentono, se nel frattempo si è conseguita l’abilitazione scientifica nazionale, di poter aspirare a diventare professore associato.

Oltre a mostrare le proporzioni sempre più pesanti del precariato tra i ricercatori, l’Arpi denuncia l’immobilismo della politica in merito. E quando la politica agisce, spesso gli interventi dei governi peggiorano la situazione. L’ultima misura inserita dal governo Renzi nella legge di stabilità, ad esempio, secondo l’Arpi va proprio in questa direzione.

Quando era ministro, Francesco Profumo introdusse l’obbligo di creare un posto da ricercatore a tempo determinato di tipo B per ogni nuovo professore ordinario, in modo da garantire un ricambio generazionale. Il governo Renzi, pur avendo mantenuto tale vincolo, l’ha modificato includendo anche i ricercatori di tipo A. Il problema è che, come ha spiegato il presidente dell’Arpi Luigi Maiorano, “nessun ateneo avrà interesse ad assumere ricercatori di tipo B che costano di più e creano problemi in fatto di organico”. Il timore, condiviso anche dall’Associazione dottorandi italiani (Adi), è che aumenti ancora di più il precariato perché “gli atenei si orienteranno verso la figura che richiede il minor aggravio e cioè quella del ricercatore di tipo A, sprovvisto di tenure track“.

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